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Obiettivo 1 milione di camere

Annunciato un traguardo tanto ambizioso, ora Marriott spiega come intende raggiungerlo

Annunciato un traguardo tanto ambizioso, ora Marriott spiega come intende raggiungerlo

Di Massimiliano Sarti, 12 Marzo 2015

Un milione di camere entro la fine del 2015, tra stanze effettivamente disponibili e in fase di costruzione a livello globale. È l’obiettivo davvero ambizioso che il ceo di Marriott International Arne Sorenson ha annunciato in pompa magna in occasione dell’ultimo World Economic Forum di Davos e che ora il manager della compagnia di Bethesda va in giro attorno al mondo a ripetere a pubblico e stampa. Il numero è impressionante: basti pensare che, al 1° gennaio 2014, secondo il tradizionale ranking annuale pubblicato da Mkg Hospitality, il totale delle camere Marriott era fermo a quota 653.719. Certo, molte delle “nuove” stanze a fine anno saranno ancora solo sulla carta: in «pipeline», come si usa dire nel gergo dell’hôtellerie, con buona dose di approssimazione, per definire un progetto di costruzione alberghiera a qualsiasi stadio di realizzazione esso si trovi. Ma le condizioni per inserire nuovi hotel nella pipeline Marriott sono piuttosto stringenti, tanto che lo stesso Sorenson, in occasione dell’incontro avuto a Milano, ha dichiarato che delle circa 250 mila camere in progettazione ben il 90% sarebbe frutto di accordi ormai vincolanti, mentre la restante parte riguarderebbe discussioni in fase particolarmente avanzata.
Un’accelerazione, quella di Marriott, sostanzialmente basata sulla consistente ripresa che il mercato alberghiero globale sta sperimentando da qualche anno a questa parte. Insomma, per il gruppo di Bethesda paiono ormai davvero lontani i tempi più bui della crisi finanziaria, quando la compagnia registrava, nel 2009 e a parità di inventario, un calo complessivo di circa il 20% dei ricavi medi per camera disponibile (revpar) rispetto ai livelli di due anni prima. Dal 2010 in avanti, ha raccontato ancora Sorenson, grazie ai primi segnali di recupero dell’economia che si sono cominciati ad avvertire soprattutto negli Stati Uniti, «le vendite delle nostre strutture, a portafoglio costante, sono aumentate di una percentuale compresa tra il 5% e il 10% all’anno per un lustro intero».
E ora che il mercato smbra consolidare ulteriormente i segnali di ripresa, le prospettive non possono che apparire decisamente rosee: in particolare, spiega ancora il ceo di Marriott International, ci si aspetta molto da paesi come la Cina, la cui economia si sta progressivamente spostando da un modello di produzione teso quasi esclusivamente all’esportazione verso un sistema in grado di favorire i consumi interni. Una tendenza che inevitabilmente favorirà la crescita dell’outbound: «Solo fino a otto anni fa», ha fatto notare Sorenson, «l’ex Celeste Impero generava qualcosa come 1 milione di viaggi internazionali all’anno. Nel 2014 è stata raggiunta quota 100 milioni ma si prevede che presto si salirà fino a 500 milioni». E la medesima dinamica, seppur con proporzioni differenti, sarà con ogni probabilità replicata in altre realtà emergenti come l’India, l’Indonesia, il Brasile e l’Africa sub-sahariana.
In tutto ciò, cosa ci si può aspettare quindi per il mercato europeo? I numeri Marriott per il Vecchio continente sono ovviamente meno altisonanti, ma non per questo poco ambiziosi: l’idea è quella di passare dalle 40 mila camere del 2010 a una quota attorno alle 150 mila unità, ancora una volta operative o in fase di costruzione, entro la fine del 2020. E ciò tramite anche l’acquisizione diretta di qualche brand importante, del tipo di quanto avvenne a suo tempo grazie alla fusione con la spagnola Ac Hotels o più recentemente, e per il mercato canadese, alla medesima operazione con Delta Hotels.
A favorire tale sviluppo, che giusto l’anno scorso è giunto più o meno a metà strada con 34 mila stanze aperte o in fase di apertura, è stata soprattutto l’introduzione di ben cinque nuovi brand in altrettanti anni: i lifestyle, posizionati in varie fasce di prezzo, Autograph Collection, Edition, Ac Hotels by Marriott e Moxy, nonché il marchio extended stay Residence Inn, che in Europa «punta a colmare un mercato particolarmente frammentato come quello legato all’offerta aparthotel e similari», ha spiegato prendendo a sua volta la parola, il presidente e managing director di Marriott International Europe, Amy McPherson. Nel prossimo futuro, invece, la maggior parte del contributo all’espansione del gruppo nell’area (circa il 70%) dovrebbe provenire sia dai già citati Moxy, Ac Hotels e Residence Inn, sia dal brand select service Courtyard.
D’altro canto, lo scenario economico europeo è ancora piuttosto frastagliato: «Negli ultimi tempi il nostro revpar nel Vecchio continente è cresciuto di pochi punti percentuali all’anno», ha rivelato sempre Amy McPherson. «Ci aspettiamo però di fare un po’ meglio nei prossimi anni. A partire dalle destinazioni extra-Londra del Regno Unito, che durante la crisi hanno sofferto terribilmente, con performance in calo per tre-quattro anni consecutivi, ma che ora registrano revpar in aumento a doppia cifra percentuale». Bene sta andando anche la Germania e poi c’è il caso di Parigi dove, dopo i recenti attacchi terroristici, il ricavo medio per camera disponibile delle strutture locali è crollato per un paio di settimane di circa il 20%: «Ma ora ci stiamo fortunatamente riprendendo e confidiamo che la situazione migliori ulteriormente».
Un capitolo a parte meritano quindi la Russia e gli altri paesi della Comunità degli Stati Indipendenti: un tema peraltro piuttosto delicato per Marriott, che qui pensa di aprire qualcosa come il 40% dei nuovi hotel europei. Non può quindi non destare preoccupazione il fatto che il 2014 si sia rivelato un anno decisamente complesso per il grande paese euro-asiatico. Gli effetti della crisi ucraina, che in Russia ha causato un calo medio del revpar del 12%, si sarebbero però fatti sentire soprattutto sulle strutture dei grandi mercati internazionali di Mosca e San Pietroburgo, mentre le restanti destinazioni, dove la clientela domestica rappresenta in media circa l’89% degli ospiti totali, avrebbero retto decisamente meglio. Il 2015, ha poi raccontato Amy McPherson, è peraltro iniziato piuttosto bene, «con una crescita dei ricavi medi per camera disponibile attorno al 5%, grazie alla sostanziosa ripresa della domanda interna, favorita anche dal crollo del rublo». Per il ricco mercato russo dell’outbound, decisivi saranno invece i mesi estivi, la stagione in cui si concentra la maggior parte della richiesta.
E l’Italia? «Milano è una di quelle destinazioni che sta soffrendo di più per la crisi del mercato russo», ha osservato prontamente Sorenson. Inevitabile, inoltre, un riferimento alla prossima Esposizione universale che, nel pendolo tra Expottimisti ed Exporealisti (a questo proposito si veda anche l’articolo a pagina 6, ndr), vede Marriott oscillare più verso il secondo estremo: «Speriamo che si traduca in buoni risultati, ma è ancora presto per dirlo», ha infatti puntualizzato il ceo del gruppo. «Confidiamo tuttavia senz’altro che la presenza del padiglione Usa a Expo possa aumentare la visibilità delle destinazioni americane». In tema di espansione, infine, a parte l’apertura ormai in corso del Jw Marriott Venice, primo resort europeo del brand, la piattaforma di sviluppo del gruppo nel segmento budget sarà sicuramente basato sul brand Moxy. Questi, dopo essere stato inaugurato proprio a Milano Malpensa, dovrebbe ora andare incontro a una crescita importante nell’Europa Centrale, per poi rifocalizzarsi anche sulla nostra Penisola. Certo, gli inizi non sono stati incoraggianti, con molte delle inaugurazioni previste per il 2014, prima spostate al 2015 e poi addirittura al 2016. «È solo un problema di rodaggio iniziale», ha tuttavia garantito Amy McPherson. Staremo a vedere.

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