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Quando il bar manager è donna

Di Carmine Lamorte, 20 Novembre 2009

Sulle sponde del Lago Maggiore, a Verbania Suna, esiste un bar, l’Estremadura Cafè, diretto, a mio giudizio, da una delle migliori bar manager al femminile d’Italia: Cinzia Ferro. Non si tratta, per la verità, di un nome che ricorre spesso nelle grandi kermesse nazionali del bartending, né sulle riviste di settore. Ma sono convinto che la professionalità debba essere giudicata non dal numero di apparizioni pubbliche, bensì dal modo in cui si fanno funzionare le aziende e dall’utile che si riesce a generare. E, in questa specialità, Cinzia è una vera campionessa.
Domanda. Quando e dove hai iniziato a lavorare?
Risposta. Ho cominciato quasi per scherzo, per divertirmi con alcuni amici proprietari di un locale in centro a Gallarate: si chiamava La Ribalta e allora avevo 20 anni.
D. Perché hai deciso di diventare una barlady?
R. Dopo aver preso la cosa come un gioco, con il passare del tempo ho iniziato ad appassionarmi alla professione: lo stare tra la gente, il poter dare loro un sorriso o una parola scherzosa, mi faceva stare bene. Inoltre, ero affascinata dalla miscelazione, dal combinare ingredienti diversi alla ricerca di un nuovo, particolare gusto. Così ho iniziato la mia carriera da perfetta autodidatta, impegnandomi però a osservare e a studiare con attenzione i migliori barman della zona.
D. E cosa è cambiato da quando hai iniziato a oggi?
R. Moltissimo: le barlady sono cresciute e in tutti i sensi, sia numericamente sia professionalmente. Oggi anche il pubblico maschile riesce ad apprezzarne la professionalità, mentre fino a qualche tempo fa, forse, le capacità tecniche delle barlady venivano nascoste dall’aspetto fisico. Da un punto di vista più generale, invece, verso la fine degli anni ’90 ho notato un crescente interesse del pubblico verso le proposte più inedite e originali. Sono così nate nuove mode e, di conseguenza, locali di tendenza, obbligati a tenersi sempre più aggiornati e ad ampliare la propria offerta. Oggi, in particolare, il pubblico è sempre più esigente e informato.
D. E la vendita di alcolici, come procede dopo le recenti discussioni in tema di divieti?
R. Per il momento non avverto un cambiamento profondo. Qualcuno, magari, per la seconda consumazione, preferisce un analcolico, mentre altri si organizzano in compagnia scegliendo il guidatore designato per la serata.
D. Quali i drink maggiormente richiesti?
R. Mojto, Long Island, Daiquiri, Spritz, Montenegro, Sambuca, nonché i whisky e i rum.
D. Cosa ci puoi dire, invece, di vino, spumante e champagne?
R. Il vino è sempre più importante: occorre avere una buona offerta, sia al bicchiere sia in bottiglia. Rossi e bianchi si vendono molto bene come aperitivo, ma sono richiestissime anche le bollicine, che non vengono disdegnate nemmeno dopo cena. C’è, poi, una buona propensione ai prodotti di casa, come, per esempio, i Franciacorta. Inoltre, devo dire che i vini ormai si utilizzano spesso anche nella miscelazione: in drink sempre più richiesti e apprezzati.
D. Quanto conta, invece, la ristorazione oggi in un bar?
R. È molto importante poter proporre il giusto accompagnamento a un buon cocktail. Magari consigliando l’abbinamento corretto per ciascuna proposta. Noi, in particolare, offriamo insalate abbondanti, taglieri di salumi misti di produzione locale, nonché di formaggi, provenienti soprattutto dalle valli ossolane, ma pure bruschette, crostoni al pomodoro, capresi al salmone, panini, piadine anche vegetariane, e fruit salad con yogurt.
D. Quali altre alternative credi si possano sviluppare in un locale, oltre alla ristorazione, che possano incrementarne il fatturato?
R. Ci sono varie opportunità. Noi, per esempio, dopo aver conseguito il titolo di tea tester abbiamo ampliato la nostra proposta di tisane e di tè in foglia, tutti serviti con i rituali propri delle diverse tradizioni. E devo dire che adesso cominciamo a raccogliere i risultati di una scelta davvero felice.
D. Alla luce di queste evoluzioni, il cocktail bar classico è destinato, secondo te, a trasformarsi in una sorta di locale fusion, nel quale l’offerta food sarà in grado di competere con quella dei ristoranti tradizionali?
R. Non solo nel futuro, ma anche nel presente. È da qualche anno ormai, che noti locali milanesi, e non solo, propongono di tutto e di più: cocktail, ristorazione, musica e spazi per ballare. E a quanto pare spesso funzionano molto bene. Personalmente, però, preferisco realtà meno promiscue: locali ben definiti e, per questo, anche curati nei minimi dettagli.

Un ambiente tranquillo con 231 etichette di distillati
L’Estremadura Cafè è un locale tranquillo, che vuole mettere a proprio agio le persone di tutte le età, con una lista di bevande per ogni gusto: 207 cocktail alcolici e semialcolici e 50 analcolici, nonché 231 etichette di distillati, 52 di liquori e 42 di birra. E poi 21 tipi di tè in foglia, 14 di infusi-tisane e 210 etichette di vino. «I nostri fornitori in fatto di drink e cocktail sono le aziende di beverage più importanti, come Diageo, Pernod Ricard, Rinaldi, Arnolfini, D&C e Coca Cola, mentre per i vini ci rivolgiamo direttamente alle cantine», racconta la stessa Cinzia Ferro. «A livello di personale, infine, d’estate ci siamo io e il mio fidanzato Stefano, che gestisce il locale assieme a me, e quattro dipendenti fissi più un extra per il fine settimana; in inverno, ancora io, Stefano e tre dipendenti fissi, più un extra per il weekend».

*Barman professionista e amministratore unico della società di consulenza Cl professional

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