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Affacciarsi sui nuovi scenari dell’f&b

«De-alberghizzare» l'offerta ristorativa di un hotel: la ricetta per scrollarsi di dosso la polvere dei vecchi schemi acquisiti e andare incontro all'innovazione

«De-alberghizzare» l'offerta ristorativa di un hotel: la ricetta per scrollarsi di dosso la polvere dei vec

Di Emiliano Citi, 25 Gennaio 2018

Creare un format unico e esclusivo; inventare un nome che venda; realizzare un logo e trasformarlo in un brand; far vivere la ristorazione di vita propria; costruire un piano di comunicazione adeguato, fatto tra l’altro di un sito web accompagnato da un’accurata strategia di web marketing, in grado di sfruttare i social e coinvolgere i blogger locali; finanche realizzare un’immagine coordinata del proprio menù secondo tecniche mirate all’ottimizzazione della vendita. Sono le regole base della de-alberghizzazione della ristorazione in hotel.
In fondo, nel business, la frase più dannosa di sempre è: «Si fa così, perché è sempre stato fatto in questo modo». Il mio concetto di de-alberghizzazione trae quindi ispirazione dalle parole della matematica statunitense Grace Hopper: è il coraggio di scrollarsi di dosso la polvere dei vecchi schemi acquisiti, per andare incontro all’innovazione; una sferzata di energia che spinge la mente ad affacciarsi su nuovi scenari.
Tanti albergatori che incontro mi fanno sempre la solita
domanda: «Cosa posso fare con il mio ristorante? È una continua perdita di soldi. Potessi, lo chiuderei». La mia risposta è semplice: «De-alberghizzare». Per capire come sia possibile, occorre però fare un passo indietro e riflettere sulla mentalità alberghiera dell’hotelier medio italiano: il servizio f&b viene spesso vissuto come un obbligo; rigidità degli orari, eccesso di formalità, pensione completa, spazi e menù anonimi la fanno ancora da padroni in tanti alberghi. Le zone destinate al bar e al ristorante, in particolare, vengono troppe volte sacrificate in stanze anguste, mentre la scelta dell’illuminazione ricade su luci fredde. Non nascondo che frequentemente mi è capitato di temere che arrivasse un infermiere a farmi una puntura… Per non parlare delle divise del personale: gilet e papillon dall’aspetto austero… E ancora tovaglie, coprimacchia e tovaglioli oramai demodé. «Less is more» è la nuova tendenza.
Al contrario oggi troppe volte vige la regola del «tentare di accontentare tutti, senza accontentare nessuno». Come quando in un hotel del catanese trovi le trofie al pesto e a Genova la pasta alla Norma. Senza dimenticare un classico come la pasta al pomodoro, perché è un piatto con cui «non si sbaglia mai!».
La de-alberghizzazione è sapere andare oltre e reinventarsi seguendo l’evoluzione delle nuove tendenze. Ma anche cogliere i bisogni delle generazioni più giovani, pensando a una proposta unica, frutto di un format preciso e di un concept innovativo, dove niente è lasciato al caso. E anche l’ambiente, tutti i dettagli e la musica sono elementi interconnessi tra loro. Insomma, è un cambio radicale di prospettiva, in cui la ristorazione non è più pensata in funzione dell’albergo, ma come un’attività vera e propria, e soprattutto a sé stante.
Bisogna dare una scossa a quella mentalità obsoleta, che porta spesso i clienti a scegliere la trattoria di fronte all’albergo, perché così possono respirare un’aria meno impersonale e meno triste del ristorante dell’hotel.
La ristorazione de-alberghizzata aumenta la reputazione del brand, migliora il fatturato, mette in condizione l’ospite di scegliervi anche per il servizio ristorativo e accoglie i clienti esterni. Dare al proprio albergo una forte identità f&b, costruita su un prodotto originale e contemporaneo, perciò, non può che portare giovamento al vostro business.
Fin qui, almeno, la teoria. Ma in pratica, direte voi? Ecco tre esempi di progetti, che ho seguito concretamente con successo nell’ultimo anno: il ristorante del Best Western Mirage Hotel Fiera di Paderno Dugnano, nel milanese, non stava dando i frutti sperati. Analizzando la location, notai un forno della pizza inutilizzato. Da quel particolare, ebbi l’intuizione di dare nuova vita a una risorsa fino a quel momento dimenticata dietro a un separé. Nacque così il progetto del concept Fuoco & Vino – Brasa con cucina (www.fuocoevino.it): una steak house in piena regola, con un’ampia e particolare selezione di carne, ma con un focus anche su pane e focaccia biologica a lievitazione naturale fatti in casa, nonché stuzzichini da condividere e una piccola scelta di primi piatti a completare il menù.
Fondamentale, in questo caso, è stata l’attenzione rivolta ai nuovi trend, come il biologico, la condivisione dei piatti, la selezione e provenienza delle materie prime. E il riscontro è stato ottimo: aver aperto il ristorante agli esterni ha raddoppiato il numero dei coperti e del fatturato. E pure la percentuale degli ospiti interni che utilizza il ristorante è passata dal 25% al 35%, aumentando il ricavo medio a persona. Ma non finisce qui: ogni domenica entra in scena Fuoco & Vino Lounge Cafè: il locale diventa meta di giovani, mentre la proposta di cocktail e della musica di un bravo dj rende l’ambiente più informale e social.
Con l’hotel Val di Sogno di Malcesine, che beneficia di un’accattivante posizione sul Lago di Garda, è stata invece presa la decisione strategica di passare da un’offerta di mezza pensione al solo breakfast e di puntare sul ristorante Dolci Aque – Food and Mood (www.dolciaque.com): un progetto in grado di trasmettere un tocco di contemporaneità, sia nella scelta del nome (volutamente è stata tolta la “c”), sia nell’impronta di una cucina “tra-contemporanea”. Si è perciò partiti dalla tradizione locale, e non solo, rivisitando le ricette con cura e creatività moderna. La possibilità invitante di un aperitivo al tramonto permette così ora di avere un’anticipazione delle pietanze à la carte: ai cocktail creati in chiave vintage vengono abbinati piccole degustazioni dedicate, secondo la nuova tendenza del «food pairing». Lo studio della grafica del menù, un’importante attività di copy e semplici strategie per aumentare la vendita dei piatti con maggiore profitto hanno poi completato l’intervento. Tutto ciò ha reso possibile l’ottimizzazione dei costi e l’aumento della reputazione, mentre la clientela interna usufruisce oggi in media del ristorante due volte a soggiorno settimanale e la risposta di quella esterna è molto positiva.
L’ultimo progetto è stato quindi pensato partendo dalla posizione: in pieno centro storico a Firenze, lungo la strada che unisce piazza della Signoria a piazza del Duomo, lo scorso 19 ottobre è stato inaugurato Nu-Ovo Lovely Eggsperience (www.nuovorestaurant.it) all’interno del Grand Hotel Cavour. Un format particolare ed esclusivo che non era fino ad allora presente nel capoluogo toscano. L’uovo, dunque, come ingrediente principale a caratterizzare una proposta gastronomica che include l’immancabile pasta fatta in casa, passando per l’uovo 62° con cime di rapa, peperoncino e bottarga, fino a una serie di ricercati dessert. Il pay off, in questo caso, sfrutta un semplice gioco di parole per creare curiosità. L’ambiente, originariamente in stile rinascimentale, è stato rivisitato in chiave moderna. La scelta di tenere aperto solo a pranzo, tovagliette-menù realizzate secondo una strategia di vendita mirata e un servizio veloce e informale lo rendono infine un locale perfetto per la pausa pranzo: la risposta dei clienti, soprattutto esterni, è stata immediata ed estremamente positiva. Il fine settimana aumentano le prenotazioni e il locale è vivo e accogliente. Anche la stampa e i food blogger, locali e non, hanno riservato articoli lusinghieri su Nu-Ovo.
In sintesi: questi tre ristoranti hanno intrapreso una strada nuova, importante e diversa. Per ognuno di loro è stata studiata e realizzata una strategia di marketing e di comunicazione mirata, focalizzata su un’indagine accurata della domanda e dei vari target evidenziati. Nella consapevolezza che a pensare e fare sempre le stesse cose, si otterranno sempre gli stessi risultati, non mi resta perciò che concludere affermando che cambiare è necessario, cambiare è vitale, cambiare è de-alberghizzare!

Chi è Emiliano Citi

Dopo numerose esperienze in importanti gruppi alberghieri in Francia, Spagna e Stati Uniti, Emiliano Citi rientra in Italia, al Milan Marriott, come food & beverage director. Nel 2007 approda in Planetaria Hotels come food & beverage operations manager dell’Enterprise, sempre di Milano, ma coordina anche l’apertura dello storico Grand Hotel Savoia di Genova, nonché altre inaugurazioni del gruppo. È inoltre docente di food & beverage management presso la scuola di cucina italiana Alma di Parma. Dal 2014, infine, è formatore e consulente Teamwork di Rimini per l’area f&b. www.teamwork.rimini.com – citi@teamwork-rimini.com

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