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Un appello in difesa della cucina tradizionale lanciato dal segretario generale della Fic, Gian Paolo Cangi

Di Job in Tourism, 12 Settembre 2003

Abbiamo deciso di pubblicare questo editoriale, uscito sul numero di luglio-agosto della rivista il Cuoco, perché ci sembra che Gian Paolo Cangi abbia toccato una questione molto importante, stigmatizzando l’abitudine di travisare completamente le ricette tradizionali con variazioni prive di logica, un fenomeno ormai troppo diffuso che si traduce in un’autentica stortura.

Tutti i giorni leggiamo sui giornali di appelli lanciati per salvare, difendere o tutelare qualche cosa e anche noi Cuochi vogliamo lanciarne uno nostro: salviamo i passatelli! Perché proprio i passatelli? Perché durante la recente Fiera di Rimini ho assistito a una kermesse di giovani allievi che dovevano interpretare con creatività alcune ricette e devo ammettere che in questo caso particolare ho assistito a un vero colpo di frusta al buon gusto e a quelle nostre ricette tipiche che hanno reso grande la cucina italiana nel mondo.
Va bene che i cuochi devono avere il diritto di interpretare o di rivedere in chiave moderna le ricette tipiche, ma arrivare a trasformare uno dei piatti più poveri e autentici della nostra tradizione aggiungendo il bero di seppia e, come se non bastasse, trasformando un piatto, che è nato per morire nel brodo, a modo di maccheroncinimi fa veramente rabbrividire e mi spinge a lanciare l’appello per la tutela e la difesa dei passatelli.
Sono consapevole che in questo caso mi lascio trascinare dalle mie origini bolognesi, ma l’Italia è piena di autentiche ricette tradizionali della civiltà contadina che a forza di trasformazioni ed elaborazioni troppo avveniristiche o naïf rischiano di disperdere la nostra cultura millenaria, quindi rivolgo un richiamo forte a non cadere in facili tentazioni di volere a tutti i costi trasformare ogni cosa.
Con questo editoriale invito i colleghi a mantenere alto lo spirito di ricerca, innovazione e creatività, ma anche ad assumersi la responsabilità, che spetta soprattutto a noi cuochi, di mantenere, difendere e divulgare le ricette storiche della cucina italiana con serietà e professionalità.
Oggi molti colleghi, cuochi e ristoratori attenti propongono sempre nella propria carta una lista di piatti tradizionali del territorio e personalmente condivido queste scelte, perché non vogliono essere tradizionalisti a tutti i costi, ma sono convinti che il turista oppure il nostro ospite cerchi al ristorante quei piatti che in casa non si possono più fare per tante ragioni, e che quindi è bene trasformare le nostre cucine in musei della tradizione culinaria italiana e lasciare stare l’eccesso nello scombinare e combinare ricette con sapori e colori che talvolta finiscono l’offendere il buon gusto.
Non abbiamo la pretesa che il nostro parere sia condiviso, ma auspichiamo che almeno nelle scuole alberghiere s’insegnino la ricette tradizionali del territorio e quelle della cucina internazionale; lasciamo che i giovani allievi una volta inseriti nel mondo del lavoro possano dare la loro interpretazione o liberare la fantasia, ma se partiamo già – com’è accaduto alla Fiera di Rimini – con i giovani allievi (con la giacca nera da cuoco) che elaborano ricette di questo tipo, allora alzo i toni e grido a gran voce: “Salviamo i passatelli”.

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