Prima sono arrivati i numeri dell’Istat, che hanno rivisto al ribasso di quasi mezzo punto percentuale la crescita del Pil italiano per quest’anno, ma anche certificato l’effetto traino del comparto del commercio, dell’alloggio e della ristorazione (+1,5% contro lo 0,5% generale). Poi, quelli del Centro Studi di Confindustria, che hanno evidenziato un “nuovo record” per il turismo italiano, con una crescita del 6,9% della spesa dei turisti stranieri, per un aumento complessivo a 110 miliardi nel 2024. Infine, quelli dell’Osservatorio sulla tassa di soggiorno di Jfc, che stimano un gettito complessivo dell’imposta per quest’anno anch’esso da record, vicinissimo al miliardo di euro (quota che dovrebbe essere superata nel 2025). Tutto benissimo, dunque, per il turismo italiano? Sì, ma solo in parte. Solo in parte perché numeri, analisi e statistiche – che spesso risultano anche in contrasto tra loro a seconda delle fonti di riferimento – nascondono, in realtà, dinamiche ben più complesse dei segni più messi davanti alle cifre. Tre esempi su tutti.
Arrivi, lavoro, tassa di soggiorno
Il primo ha a che fare proprio con gli arrivi e la spesa turistica. Il successo dei numeri “da record” del turismo italiano – comunque al di sotto di quelli del 2023 – lo si deve in gran parte agli arrivi stranieri, che ormai costituiscono oltre il 50% di quelli totali. È una buona notizia, ma c’è un altro lato della medaglia che ci dice che, invece, gli italiani viaggiano e spendono meno a causa della congiuntura economica. La voglia di viaggiare pare non essere intaccata, ma è un dato di fatto che, chi oggi può fare le vacanze, ne fa di meno e più corte, sceglie sistemazioni meno costose, spende meno in extra, come è successo la scorsa estate.
La seconda riguarda il lavoro nel turismo, sul quale da qui abbiamo un osservatorio privilegiato. Anche se il mercato pare aver assorbito il colpo più duro dell’immediato post-pandemia, quando le aziende del turismo raccontavano di una difficoltà “drammatica” a trovare personale, il personale non è facilissimo trovarlo neanche adesso, in modo particolare nell’ambito della ristorazione e del comparto F&B. Mancano cuochi, pasticceri, pizzaioli, chef de rang, camerieri, maître. Il settore sta ancora prendendo le misure con le nuove esigenze espresse dalle persone, meno disposte a fare turni spezzati, lavorare la sera e nei festivi. Soprattutto, a guadagnare stipendi in molti casi inadeguati. È una quadra difficile da trovare, un po’ perché ci sono delle caratteristiche proprie di queste professioni che sono strutturali e difficilmente modificabili (un hotel è aperto e richiede personale h24 per forza di cose, ed è un vincolo, questo, insuperabile), un po’ perché servirebbero interventi istituzionali sulla decontribuzione del lavoro che non arrivano (meno tasse sul lavoro permetterebbero alle aziende di assumere più personale e far girare in modo più flessibile i turni, per esempio), un po’ perché si scontano anni di “far west” nei quali tutto è stato possibile in questo settore e convincere, soprattutto i più giovani, che ci sono anche aziende serie che investono in welfare, flessibilità e formazione garantendo un lavoro dignitoso, appagante e con possibilità di crescita professionale e umana non è facile.
Poi c’è la tassa di soggiorno. Le nuove indicazioni di legge hanno permesso a più Comuni di introdurla e di rimodulare al rialzo le tariffe. Così il gettito è salito, ma rimane irrisolto il problema che operatori del turismo e albergatori lamentano sin dall’introduzione dell’imposta. Ovvero, l’impiego di queste risorse, che per legge dovrebbero essere usate per migliorare l’offerta turistica e integrarla con i servizi per i residenti e che, invece, vengono impiegate molto spesso per tappare buchi di bilancio su altre voci.
Il rischio boomerang
Ma al di là di queste riflessioni, c’è un dubbio che sorge di fronte all’entusiasmo con il quale vengono comunicati i dati positivi del nostro turismo: e se, in una maniera tipicamente italiana, quei numeri diventassero un boomerang? Se – detta fuori dai denti – si decidesse di “spremere” ulteriormente il turismo italiano per far aumentare ancora e ancora quei più davanti alle statistiche degli arrivi, dei tassi di riempimento, dell’ADR, dei risultati finanziari?
La necessità di trovare risposte alle difficoltà del lavoro, all’eccessivo affollamento delle destinazioni turistiche italiane più famose, agli effetti della crisi climatica e sociale che impattano fortemente il settore suggerirebbero di percorrere una strada diversa, quella di un turismo fatto, forse, di meno e meglio, più che di più a tutti i costi. Speriamo davvero che i record del 2024 non si trasformino in un ennesimo boomerang.
Comments are closed