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Il sogno americano di un manager tricolore

Alex Dallocchio racconta la propria esperienza a stelle e strisce: un posto «dove si è sempre valutati in base alle performance lavorative e mai per l'età o le raccomandazioni»

Alex Dallocchio racconta la propria esperienza a stelle e strisce: un posto «dove si è sempre valutati in b

Di Massimiliano Sarti, 8 Marzo 2018

Diventare general manager a 28 anni si può. Ma da questo punto di vista lavorare negli Stati Uniti aiuta. È il sogno americano di Alex Dallocchio, che da ormai 18 anni opera e vive negli States con soddisfazione professionale e personale: «Che dire? Ho la fortuna di avere una splendida famiglia formata da mia moglie Michelle e dalle mie due figlie, Aurora e Iselda, mentre la mia carriera qui è progredita molto velocemente: appena nel 2003 ero in Texas come assistant front office manager al Marriott South-Austin e quattro anni più tardi ero già diventato direttore del Magnolia Hotel di Omaha, in Nebraska», racconta l’attuale general manager dell’Embassy Suites by Hilton di Las Vegas. «Il vantaggio, qui negli States, è che si è sempre valutati in base alle performance lavorative e mai per l’età o le raccomandazioni».
La carriera di Dallocchio in effetti è stata davvero rapida. Un’accelerazione a cui ha indubitabilmente contribuito la scelta di intraprendere presto un percorso internazionale: dopo gli studi di economia all’università di Pavia, il manager italiano lavora infatti a Milano e a Edimburgo, collaborando con brand e hotel prestigiosi quali il Le Meridien Hotel Excelsior Gallia (oggi The Luxury Collection), il Balmoral della capitale scozzese e ancora il Principe di Savoia e il Four Seasons della città meneghina. Agli inizi del nuovo Millennio arriva quindi il grande salto al di là dell’Atlantico, che nel giro di pochissimo tempo gli consente di assumere tutta una serie di direzioni a stelle e strisce: oltre alle strutture di Omaha e Las Vegas, Dallocchio è stato infatti al timone di numerosi altri hotel in Texas, Florida, California e ancora in Nevada, lavorando tra gli altri anche per il gruppo Hyatt.

Domanda. Come si trova oggi a Las Vegas?
Risposta. Il 2017 è stato un anno davvero fantastico. Lo dicono gli stessi numeri: il nostro hotel ha registrato un’occupazione annuale del 92%, mentre le tariffe medie sono aumentate di circa 15 dollari. Le performance sono state tanto buone, che la struttura è stata insignita dal gruppo del titolo di «Hotel of the year», mentre sia io, sia il mio direttore alle vendite abbiamo ottenuto la nomination per i premi di director of sales e general manager dell’anno. E presto conosceremo anche i risultati. Al contrario, devo dire che l’anno appena iniziato non si presenta sotto i migliori auspici: dopo i noti fatti di ottobre, quando un killer ha ucciso ben 58 persone sparando da una camera del Mandalay Bay Casino, abbiamo registrato una decisa diminuzione di visitatori, soprattutto internazionali.

D. Non si sentono un po’ anche gli effetti dell’amministrazione Trump da questo punto di vista?
R. In effetti, durante il primo anno in carica del nuovo presidente gli arrivi sono scesi di circa il 4%. Il che si è tradotto in un calo dei ricavi per circa 4,6 miliardi di dollari, nonché nella perdita di 40 mila posti di lavoro. Lo dicono le statistiche ufficiali elaborate a gennaio 2018 dal National travel and tourism office. E secondo molti il declino sarebbe soprattutto da imputarsi ad alcune misure dell’attuale amministrazione. A partire dai famosi «travel bans» per i viaggiatori provenienti da determinati mercati asiatici e mediorientali. Nel leggere tali cifre, io non sottovaluterei però neppure l’impatto dei due uragani catastrofici che hanno colpito Texas e Florida negli ultimi mesi dell’anno.

D. Quali sono le caratteristiche di un hotel all-suite come il vostro?
R. Devo dire che Embassy Suites è un brand molto popolare e gradito in America proprio per l’ampiezza delle camere e il full breakfast sempre incluso nel prezzo.

D. A proposito: chi sono i vostri ospiti?
R. Durante la settimana accogliamo soprattutto viaggiatori d’affari che vengono in città per seguire qualche convegno. Nel weekend invece il nostro hotel si trasforma letteralmente in una location leisure, con i clienti che arrivano da tutto il mondo per vivere la tipica «Vegas experience», fatta di casinò, gioco d’azzardo, concerti, spettacoli e ristoranti tra i più rinomati al mondo.

D. Come si declina tutto ciò nella vostra offerta f&b?
R. Consideri che da noi sono attivi circa 200 ristoranti in un’area di appena 3 chilometri quadrati. La nostra offerta f&b è quindi essenziale e si traduce in una semplice regola: colazioni, pranzo e cena di qualità ma senza strafare.
D. L’equilibrio giusto, insomma, per accontentare gli ospiti ma non perdere il controllo dei costi. E in termini di tecnologia invece?
R. È il nostro vero fiore all’occhiello. Ma soprattutto quello che gli ospiti cercano maggiormente oggi in un’offerta alberghiera. L’anno scorso, in particolare, abbiamo implementato il self check-in, che consente ai nostri clienti non solo di selezionare la propria camera sull’app HiltonHonors al momento della prenotazione, ma anche di utilizzare il proprio smartphone per aprire la porta, nonché per controllare luci e temperature della stanza grazie alla tecnologia Bluetooth. Offriamo inoltre la smart tv in tutte le camere, così come una serie di stanze ipoallergeniche per gli ospiti con specifiche esigenze di salute.

D. Ci sono molti italiani che lavorano da voi?
R. Purtroppo da noi non ce ne sono. In generale, però, qui a Las Vegas i professionisti tricolore sono numerosi. Si trovano soprattutto nel comparto f&b, tanto che non pochi casinò vantano alle proprie dipendenze degli chef italiani.

D. Da dove vengono quindi i vostri collaboratori?
R. La maggior parte è statunitense, ma nelle divisioni housekeeping e ristorazione impieghiamo anche molti lavoratori di origini centro-americane.

D. Quali sono infine i suoi progetti futuri? Se dovesse cambiare paese, in particolare, dove le piacerebbe approdare oggi?
R. Semplice: dopo 18 anni negli Stati Uniti, spero e confido che nel mio futuro ci possa essere un ritorno in Europa.

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