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Il lavoro in Italia? Stressante, con poche prospettive, diseguale

La fotografia del lavoro in Italia scattata dalla survey "Italian Lives" dell'Università Bicocca di Milano mostra un quadro segnato da alti livelli di stanchezza, poche prospettive di carriera e forti disuguaglianze di genere

La fotografia del lavoro in Italia scattata dalla survey "Italian Lives" dell'Università Bicocca di Milano m

Di Job in Tourism, 20 Settembre 2023

Più della metà dei lavoratori italiani lamenta scarse prospettive di carriera e livelli di impegno fisico e di stress troppo elevati sul posto di lavoro. Mentre la maggioranza percepisce come “abbastanza adeguati” retribuzione, orari, riconoscimento del merito e supporto relazionale. Eppure, è una fotografia “diseguale” quella del mondo del lavoro scattata da “Italian Lives”, l’indagine longitudinale e pluriennale quanti-qualitativa promossa dall’Istituto IASSC del Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale dell’Università di Milano-Bicocca. Per le donne delle Generazioni X e Millennials, infatti, l’ingresso nel mondo occupazionale avviene tre anni in ritardo rispetto ai maschi. E impiegano un mese in più a uscire dal primo episodio di disoccupazione.

Il lavoro tra insoddisfazione e qualità della vita

Dalle domande di Ita.Li dedicate alla qualità del lavoro, rivolte a circa 4mila soggetti, “emergono gli aspetti ritenuti meno attraenti – osserva il direttore dell’Istituto IASSC, Serafino Negrelli – che potrebbero essere all’origine del crescente mismatch tra domanda e offerta, ovvero di scelte di rifiuto, dimissioni e cambiamento da parte dei lavoratori. Il Bollettino Excelsior di settembre, realizzato da Unioncamere con Anpal – ricorda – riporta che dei 531mila profili di offerte di lavoro, ben il 48% resterà infatti vacante“.

Ma quali sono questi aspetti? Dai dati raccolti si ricava che il 54,4% del campione intervistato per la survey – 9mila individui che appartengono a 280 Comuni di tutta Italia – ritiene scarse le proprie prospettive di carriera. Il 56,2% è la quota di chi pensa che il lavoro lo impegni molto fisicamente e il 59,3% si sente sotto pressione per ritmi e scadenze temporali. “Un dato confermato purtroppo da livelli ormai intollerabili di infortuni e morti”, evidenzia Negrelli. il  Il 60% concorda, invece, che la retribuzione sia adeguata, che il lavoro svolto abbia un adeguato riconoscimento, che gli orari di lavoro, al di là dei ritmi stressanti, si concilino abbastanza con gli impegni familiari e sociali e il 58,2%  degli intervistati sostiene di ricevere supporto e aiuto da colleghi e vertici.

Il divario di genere

Dalle analisi condotte sempre sui dati dai ricercatori della Bicocca di Milano emerge poi “un innalzamento progressivo dell’età di completamento degli studi e un conseguente ritardo dell’ingresso nel mercato del lavoro, della costituzione delle unioni matrimoniali e della genitorialità”. Le donne nelle generazioni più recenti, X e Millennials, “studiano di più rispetto ai coetanei maschi ed entrano più tardi nel mercato del lavoro. Più nello specifico, le donne appartenenti alle ultime generazioni mostrano un’età mediana di ingresso nel mercato del lavoro che si attesta a 24 anni, tre anni in più rispetto ai coetanei uomini”.

Tale differenza di genere – rileva anche la survey – “è da imputare alla persistenza di stereotipi, norme, modelli culturali e carenza di domanda di lavoro che penalizzano in primo luogo le donne meridionali. Va comunque sottolineato che nelle generazioni più recenti l’età mediana delle donne al Sud si è ridotta significativamente, segno di un profondo cambiamento culturale e di un allentamento della specializzazione dei ruoli di genere”. Anche in riferimento al fenomeno della disoccupazione, tuttavia, si delinea “un divario di genere: la durata mediana di fuoriuscita dal primo episodio di ricerca di lavoro è di un mese in più per le donne rispetto ai coetanei uomini. Il divario si attesta a due mesi per gli episodi di disoccupazione successivi al primo”.

 

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