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In gruppo s’impara a navigare

Di Barbara Brunati, 5 Gennaio 2007

Pubblichiamo la prima parte di un articolo che racconta l’esperienza di teamworking vissuta dalle squadre del Meliá Roma Aurelia Antica e del Gran Meliá Milano.

La giornata è splendida e lo specchio d’acqua leggermente increspato da una brezza che si annuncia ideale per la regata. Al circolo velico le imbarcazioni sono sottoposte a un accurato check-up, si preparano i giubbotti di salvataggio e l’istruttore attende gli allievi velisti per un giorno; anche Giulia, la fotografa ufficiale, controlla la sua macchina digitale. Saranno infatti le immagini a fissare in maniera indelebile il ricordo di un’esperienza di condivisione, che conclude il ciclo di teamwork per i capi servizio degli hotel Meliá Roma Aurelia Antica e del Gran Meliá Milano.
Sebastiano Catinello, human resource manager per Sol Meliá Italia, è soddisfatto per il successo dell’iniziativa. «Abbiamo ritenuto doveroso dedicare ai nostri manager una particolare attenzione, organizzando questi incontri per far comprendere loro i criteri che devono essere seguiti per una corretta e migliore gestione del lavoro di gruppo».
Per questo, alla teoria in aula è stata affiancata la pratica sulla barca. Per la squadra di Roma la scelta è caduta su Bracciano, località balzata agli onori della cronaca mondana grazie al suo Castello Odescalchi, che ha ospitato nel corso degli anni matrimoni da favola.
Luogo non meno prestigioso quello eletto per i milanesi, sbarcati a Moltrasio: il lago di Como rappresenta da sempre una forte attrattiva per le celebrità.
«L’esperienza al lago», prosegue Catinello, «ha consentito ai nostri colleghi di sperimentare il lavoro di gruppo che, all’interno di una barca, è sicuramente realizzato nella maniera migliore poiché ciascuno svolge un ruolo, il ruolo di ciascuno è importante per il procedere dell’imbarcazione e per il raggiungimento dell’obiettivo, quindi rappresenta uno strumento molto efficace per tradurre in pratica il concetto di teamworking».
Spiega Andrea Abbatelli, docente del corso: «Il concetto di tamworking contiene una miriade di elementi che vanno dalla comunicazione alle componenti legate agli aspetti sociali del gruppo. L’identità, per esempio: abbiamo lavorato parecchio sui valori, sulla visione, sulla missione, su ciò che rende un gruppo tale, e come si riconosce. Abbiamo parlato di riti, di simboli, di quanto siano importanti ad aiutare un gruppo a riconoscersi e a identificarsi nei confronti dell’esterno. Ogni gruppo si forma la propria identità nel momento in cui si trova a lavorare a un obiettivo che rappresenta una sfida, poiché mira a ottenere un risultato complesso, pur con una forte pressione esercitata dall’esterno. Se il gruppo ottiene il successo, la combinazione di fatica, sofferenza, difficoltà e sfida, unita al raggiungimento del risultato positivo, diventa qualcosa che cementa le relazioni e sviluppa il senso d’appartenenza».
Aggiunge Catinello: «Il lavoro di squadra è fondamentale in un’azienda di servizi qual è un albergo, poiché la qualità con cui le persone si esprimono nei confronti di un cliente è determinante per il risultato della struttura e per il raggiungimento degli obiettivi dell’hotel. Le persone svolgono un compito importante, poiché dal modo in cui si pongono nei confronti del cliente deriva la soddisfazione dello stesso. Trattandosi di reparti molto eterogenei, quando ci si trova a dover offrire un servizio comune nell’interesse del cliente, il lavoro di squadra diventa particolarmente importante, perché è necessario che ciascuno di questi elementi si muova in equilibrio con gli altri in coordinamento, sintonia e sincronia, e ciò costituisce uno degli aspetti più complessi».
La figura del capo servizio si colloca in questo contesto come cardine tra gli obiettivi perseguiti dall’azienda e le persone preposte a realizzarli. «La prima sfida che un leader deve affrontare – spiega Abbatelli – è una pressione enorme sui risultati che il suo gruppo deve produrre e contemporaneamente la necessità di fronteggiare la pressione esercitata dalle persone, che lo spingono in varie direzioni. Egli si trova così tra l’incudine, costituita dai membri del gruppo, che dal lavoro pretendono motivazione, soddisfazione, una retribuzione equa e una compatibilità tra il tempo dedicato al lavoro e quello riservato alla vita privata, e il martello rappresentato dall’organizzazione che chiede risultati di anno in anno più pressanti. Cedendo alla tentazione di impegnarsi esclusivamente sul piano operativo, per ottenere risultati di più lungo periodo rispetto a quelli di breve termine richiesti dall’organizzazione, si rischia di non capire che lavorando di più sulle risorse umane quei risultati si otterrebbero più semplicemente».
Anche per Alessandro Misani, direttore di fresca nomina presso il Gran Meliá Milano, «la qualità del rapporto fra il gruppo e l’ambiente è essenziale, poiché si proietta sui clienti. Di conseguenza bisogna trovare la giusta alchimia tra il divertimento, anche se stiamo lavorando seriamente, e un livello professionale sempre al massimo, oltre naturalmente alla tranquillità e alla volontà di mettere i collaboratori nelle condizioni di operare al meglio. Per il resto non credo esistano segreti o ricette magiche, né tantomeno schemi; non si può arrivare in albergo indossando la maglietta con la scritta “sono il leader”, sono sempre gli altri a doverti riconoscere come tale. Diventi leader se dimostri che le cose che vuoi far fare agli altri, sei in primis capace di farle tu; quindi con l’esempio, con la quotidianità. Lì sta la differenza, e un buon manager deve cercare il giusto equilibrio tra il compromesso, la delega e la giusta autorità».
L’esempio è fondamentale anche per il responsabile del reparto che da sempre ha un contatto privilegiato con il cliente. Stefano Nichetti, front office manager presso la stessa struttura, spiega: «Per lo staff che coordina, è essenziale che il capo servizio abbia competenza e padronanza del lavoro. Tuttavia credo che le capacità organizzative delle risorse umane debbano rappresentare il 70% nel totale dell’attività svolta, poiché le competenze si possono insegnare, mentre per le risorse umane si deve avere qualcosa a livello caratteriale che deriva dall’educazione e dalla propria crescita, anche al di fuori del lavoro».

(segue nel prossimo numero)

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