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Il sommelier osa e tradisce

Di Floriana Lipparini, 14 Aprile 2006

«Noi sommelier siamo come i clerici vagantes del Medioevo: andiamo di luogo in luogo a portare la cultura del bere, una sapienza, anzi un’arte che si può imparare e trasmettere, ma ha regole da conoscere e seguire». È la filosofia di Luciano Merlini, sommelier e relatore ufficiale dell’Ais (Associazione italiana sommelier), oltre che consulente sempre in viaggio in tutto il mondo. Mercoledì 19 aprile terrà, presso il Principe di Savoia a Milano, un incontro dal titolo intrigante: “Affinità elettive – Matrimonio d’amore, d’interesse e… adulteri: l’intuito psicologico per creare con il cibo o con il vino e osare con romanticheria”. La serata fa parte del percorso “Incontri e formazione” con i professionisti dell’ospitalità di Solidus, ed è organizzata da Aira Lombardia con Uipa e Amira.
Questi momenti di interscambio fra le varie categorie del mondo dell’ospitalità vogliono costituire un reciproco arricchimento del background professionale e contribuire ad accrescere la visibilità e il livello del turismo italiano. Tra i progetti più importanti di Solidus, c’è l’ambizione di promuovere la nascita dell’Università del Turismo, un necessario salto di qualità per reggere le sfide della competizione globale..
Quali temi tratterà Merlini in questo appuntamento con la sommellerie? «L’obiettivo è quello di dare alcuni consigli per capire se cibo e vino hanno un giusto accostamento. Esistono regole codificate, oltre al buon senso, schede istituzionalizzate che definiscono quei sette-otto punti utili a valutare se il poligono del vino e il poligono del cibo sono affini, il perfetto matrimonio d’amore. Ma attenzione: dobbiamo anche saper uscire dal codificato, saper osare, e qui entrano in gioco gli adulteri, perché nella sommellerie ora si fa strada la multietnicità, il sommelier diventa una figura sempre più complessa, abbiamo a che fare con il cumino, lo zenzero, le spezie esotiche. O, al contrario, dobbiamo saper rispettare le stranezze del cliente che ci chiede accostamenti imprevisti, perché magari fanno parte del suo vissuto, delle sue emozioni… ».
Secondo Merlini, nato e residente nell’Oltrepò pavese, agronomo, in passato direttore commerciale di importanti aziende vinicole e ora molto gratificato dal ruolo di consulente Ais (“lo vivo come una missione”, dice), «Non bisogna pensare al sommelier come al cameriere che ti mesce il vino, ma come a un food & beverage manager che tiene la cantina, deve far quadrare i conti, cura le rotazioni, controlla l’igrometria… Teniamo presente che oggi, con il codice a barre, la cantina si organizza in un attimo, ogni giorno puoi avere la situazione aggiornatissima».
Però molti giovani dell’alberghiero, attratti dalla sommellerie, poi stentano a trovare lavoro. «Da noi il sommelier non ha ancora spazio sufficiente», spiega Merlini. «Negli alberghi sono poche le figure di sommelier; mentre a Londra e a Parigi fra albergo e ristorante c’è sempre stato il marriage d’amour, in Italia le cose sono iniziate a cambiare solo da dieci anni in qua. I nostri studenti sono costretti a cercar lavoro all’estero, li ritrovo nei grandi alberghi londinesi e parigini, dove peraltro sono molto apprezzati per lo stile pacato, classico, professionale».
Che fare, allora, per trovare sbocchi professionali anche in Italia? «Dobbiamo guardare con attenzione alla grande distribuzione moderna e alle enoteche con mescita. Prima non c’era il comunicatore che sapeva spiegare le qualità dei prodotti, e allora l’enoteca restava inerte, i vini ti guardavano muti dagli scaffali, ma, con un esperto sommelier che ti coinvolge e ti incuriosisce, la serata diventa effervescente e affascinante».

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