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Una recensione cinematografica

Di Antonio Caneva, 13 Giugno 2013

Il mese scorso, mentre facevo zapping, mi sono soffermato su un programma in cui Maria Sole Tognazzi, regista di Viaggio da sola, raccontava la genesi del film, che tratta delle vicende personali e professionali di una mistery guest (Margherita Buy) nel corso delle sue visite – ispezioni agli alberghi.
La Tognazzi parlava delle difficoltà incontrate nella realizzazione della pellicola, soprattutto nell’individuazione delle location dove l’attrice avrebbe dovuto svolgere la sua attività. Diceva che, dopo parecchi tentativi falliti, ha avuto l’idea di contattare a New York la «Leading hotels of the world» e, in una settimana, ha definito ciò che direttamente in Italia non era riuscita a fare in mesi.
Incuriosito sono andato a vedere il film, piacevole (senza essere un capolavoro): ha il pregio delle belle cartoline a colori, si svolge in strutture uniche (de Crillon a Parigi, Palace a Gstaad, La Mamounia a Marrakech, Adlon a Berlino, Fonteverde a San Casciano, Borgo Ignazia in Puglia ) e, per chi ama gli alberghi, è una gioia.
Nello sviluppo della trama, la protagonista incontra, all’Adlon, una signora che, nel corso di un dialogo al bar, le parla della sua visione degli alberghi di lusso: secondo lei sono dei luoghi falsi, di uno sfarzo esagerato e lontani dalla vita (appena arrivata ha fatto un regalo al butler a lei dedicato, perché non si facesse più vivo con la sua premurosa, fastidiosa, presenza), proponendole il giorno dopo di andare assieme nel quartiere turco della città a mangiare in un ristorante dove, con 10 euro, si mangia bene, in mezzo a gente vera.
Questo pranzo poi non è stato fatto (non vi racconto il perché per non togliere la sorpresa a chi andrà a vedere il film) ma l’affermazione precedente induce a riflettere sull’essenza del lusso nell’ospitalità.
La domanda si può così sintetizzare: il lusso è quanto di più bello, costoso, sfarzoso e ricercato esista o è un equilibrio di gusto e autenticità?
Non è una risposta facile, legata com’è alle preferenze individuali e a situazioni che spesso sono trasversali alle diverse impostazioni.
Le mie sensazioni sono legate a momenti unici, vissuti in funzione della specificità del posto e delle emozioni che trasmettono; circostanze particolari più che dal lusso fine a se stesso; se posso pensare agli ultimi tempi rivedo Roma al tramonto, mentre si accendono le luci della città, dalle finestre del Cavalieri (non bisogna dimenticare però che lì sono esposti quadri e oggetti d’arte che sarebbero la gioia di parecchi musei) o lo struggente suono di sassofono sulla terrazza del Giardino di Costanza, a Mazara del Vallo, in una calda, stellata, notte siciliana.
Ma l’hôtellerie è un business che si rivolge, per ogni livello, a un determinato target, e quindi l’importante è essere coerenti con il proprio mercato e, se devo esprimere un’opinione, direi che il lusso è quello che fa sentire bene i propri clienti. E sono molti coloro che, oltre al gusto e all’autenticità, cercano anche lo sfarzo e il percettibile costoso, con buona pace (in tutti i sensi) della signora dell’Adlon.

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