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Un mare di tasse di soggiorno

Solo tre regioni hanno scelto di rimanere tax free

Solo tre regioni hanno scelto di rimanere tax free

Di Massimo Feruzzi*, 29 Giugno 2012

Odiata dagli albergatori, ma considerata da molte amministrazioni comunali come l’ultima opportunità a loro concessa per fare cassa, permette alle amministrazioni locali di far pagare ai turisti, che soggiornano nelle strutture ricettive del proprio territorio, sino a 5 euro per ogni notte di soggiorno. È la famigerata imposta di soggiorno, che tanto sta facendo e tanto farà discutere operatori e istituzioni alle prese con un momento economico non facile e con la conseguente necessità di far quadrare i propri conti. Ma come si è diffusa tale gabella nel nostro paese e qual è, soprattutto, la situazione attuale, la mappa delle località che ne hanno sancito l’entrata in vigore? Lo strumento, che in Italia ne analizza l’evoluzione, è l’Osservatorio nazionale sulla tassa di soggiorno, curato da noi di Jfc.
Ma partiamo dall’inizio: è stata la legge numero 42-2009 sul federalismo fiscale ad aprire, in Italia, nuovi scenari di autonomia in merito alle entrate e alle uscite per gli enti locali. In questo contesto, il settore turistico è stato così da subito interessato al mutamento in atto. Infatti, con l’approvazione del decreto legislativo numero 23, «Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale», approvato in data 14 marzo 2011, gli enti locali hanno subito preso in considerazione la possibilità di applicare la nuova imposta di soggiorno. Nel testo si legge che «i Comuni (…..) potranno istituire un’imposta di soggiorno a carico di chi alloggia nelle strutture ricettive del proprio territorio. L’imposta sarà applicata con gradualità, fino a un massimo di 5 euro per notte di soggiorno, in proporzione al prezzo. Il gettito è destinato a finanziare interventi in materia di turismo, manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali e ambientali locali e dei relativi servizi pubblici locali».
Alcuni comuni hanno presto deciso di rinunciare a questa possibilità, ma altri hanno invece colto l’opportunità per generare nuove entrate nelle proprie casse. Con riferimento alle città d’arte italiane, in particolare, la prima a istituire l’imposta di soggiorno con delibera comunale è stata Roma, grazie a una normativa entrata in vigore dal 1° gennaio 2011. Alla capitale hanno quindi fatto seguito numerose altre località importanti della penisola, tra cui Firenze (1° luglio 2011), Venezia (23 agosto 2011), Catania (settembre 2011), Torino (2 aprile 2012), Siena (1° marzo 2012) e Pisa (1° gennaio 2012). Oggi i comuni che in Italia hanno istituito la tassa di soggiorno sono alcune centinaia, ma le formule, le modalità applicative e le esenzioni previste sono molto diverse tra loro. È infatti interessante notare come esistano profonde differenze tra i vari regolamenti approvati dalle amministrazioni comunali.
I dati più attuali, e più interessanti da analizzare in vista della stagione estiva, sono però quelli che fanno riferimento all’applicazione dell’imposta di soggiorno nelle destinazioni balneari. Tra le 15 regioni che si dividono i 7.458 chilometri di costa italiana, solo tre sono tax free: l’Emilia Romagna, l’Abruzzo e il Friuli Venezia Giulia. Le differenziazioni, tra le altre località, sono, invece, considerevoli: introdurre l’imposta di soggiorno solo in determinati periodi stagionali, per esempio, è una prassi comune a numerose mete balneari. In molti regolamenti, poi, si pone un limite al periodo di pernottamento soggetto a tassazione. A Otranto, Ostuni, Capri, Lesina, Rossano, Melendugno, Terracina, Serrara Fontana, Termoli e Maratea, così, si indica quale durata per il pagamento dell’imposta di soggiorno un massimo di cinque pernottamenti consecutivi; massimo che diventa di sei notti a San Benedetto del Tronto e a Capraia, di sette a Sperlonga, Pietrasanta, Ravello e Sorrento, fino a Castagneto dove il Comune ha deciso di tassare i turisti fino al trentesimo pernottamento consecutivo. Ma a Villasimius, a Cavallino Treporti e a San Vincenzo non c’è neppure menzione di un limite massimo. Anche sulle esenzioni ci sono peraltro comuni più generosi e altri meno, nell’ampliare il raggio dei beneficiati: a Ravello, per esempio, non pagano l’imposta i diversamente abili (che devono presentare idonea documentazione), mentre Fiumicino allarga l’esenzione anche agli ultrasettantenni. Un tratto comune, infine, a tutte le destinazioni balneari, in tema di esenzioni, è poi quello relativo ai minori. Ma pure qui si notano diverse differenze nell’età: si passa dalla gratuità per i minori di dieci anni, in vigore a Villasimius, Lesina, Salve, Capri, Cefalù, Fiumicino, Rodi Garganico, Mandatoriccio, Terracina e San Vito lo Capo, sino ai 18 anni di Sperlonga, Serrara Fontana e Sorrento.

Dove si paga il balzello lungo le coste italiane

• Basilicata: Maratea
• Calabria: Acquappesa, Borgia Cassano allo Ionio, Mandatoriccio, Rossano e Squillace
• Campania: Capri, Ravello, Serrara Fontana (Ischia) e Sorrento
• Lazio: Fiumicino-Fregene, Fondi, Sperlonga e Terracina
• Liguria: Framura, nonché i capoluoghi Genova e La Spezia
• Marche: Grottammare, San Benedetto del Tronto e Senigallia
• Molise: Termoli
• Puglia: Lesina, Mattinata, Melendugno, Ostuni, Otranto, Rodi Garganico, Salve e Vieste
• Sardegna: Pula e Villasimius
• Sicilia: Cefalù, Giardini di Naxos e San Vito lo Capo
• Toscana: Bibbona, Capraia, Castagneto Carducci, Pietrasanta, Piombino, Rosignano Marittimo e San Vincenzo
• Veneto: Cavallino Treporti

Massimo Feruzzi è Fondatore della società di consulenza Jfc

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