Il mondo è cambiato e i giovani “non sono più quelli di una volta”. Forse è davvero così, ma è certo che ogni generazione si sia sentita ripetere, grosso modo, le stesse cose da chi l’ha preceduta, spesso incapace di comprendere nuove visioni, aspettative e bisogni che l’evoluzione della società, inevitabilmente, porta con sé. A guardare l’attuale passaggio generazionale attraverso la lente del lavoro – di quello nell’ospitalità, in modo particolare – questa difficoltà di comprensione e dialogo, quasi sistemica e di per sé naturale, assume, tuttavia, dimensioni rilevanti, a tal punto da incidere sulle dinamiche stesse del mercato occupazionale. “I ragazzi – si dice – non vogliono più lavorare nel turismo”. E i numeri lo confermano: le aziende, salvo rari casi, faticano a trovare giovani da assumere e il tasso di dispersione scolastica post-diploma – ovvero la percentuale di chi, dopo aver studiato turismo, sceglie un altro settore – supera il 50%. Ma è davvero colpa dei ragazzi – se di colpa si può parlare – e della loro presunta scarsa propensione a quel “sacrificio” che le professioni del turismo richiederebbero? O, forse, non sarebbe più corretto che mondo del lavoro e scuola, insieme, facessero una riflessione seria per andare a fondo della questione?
È quello che si è provato a fare nelle scorse settimane nel corso della tavola rotonda “Scuola e lavoro a confronto, insieme per il futuro”, organizzata a margine della nostra job fair TFP Summit Milano, che ha visto la partecipazione di rappresentanti delle HR dell’ospitalità e docenti delle scuole alberghiere, moderati da Emilio De Risi, autore della newsletter di approfondimento turistico 21 Grammi di Turismo.
Un problema di cultura del lavoro
Numerosi sono stati gli spunti di riflessione emersi. Primo tra tutti il tema, centralissimo, della cultura del lavoro. “La criticità che osservo – ha raccontato Filippo Pavan, Recruiting & Training Manager di Hotel Excelsior Venezia – è il fatto che i ragazzi siano poco preparati su cosa troveranno fuori dalla scuola. Non è tanto questione di stage, ma della comunicazione che andrebbe fatta sulla cultura del lavoro”. Un tema che, evidentemente, investe gli adulti di riferimento più che gli studenti: “La criticità di comunicazione – ha osservato Elisa Guerra, Chief Human Resources Officer di Club del Sole – riguarda noi, aziende e scuola, che spesso fatichiamo a parlarci. Lì dove, invece, il dialogo funziona, il messaggio passa e i ragazzi, che sono molto ricettivi, arrivano nel mondo del lavoro più preparati”. È per questo che, oltre ai tirocini curricolari, servirebbero workshop e iniziative di mentoring e coaching durante i quali gli studenti possano confrontarsi con i professionisti del settore, anche “per sentire dal loro racconto, in prima persona, quali sono i lati positivi di queste professioni che, altrimenti, continuano a pagare il pegno di una narrazione molto spesso negativa”, ha suggerito Sara Moroni, Responsabile delle Risorse Umane di Veridia Resort.
Stipendi e organizzazione del lavoro
È indubbio, d’altra parte, che stipendi troppo bassi e un’organizzazione del lavoro poco flessibile si scontrino con le esigenze di una generazione che rivendica paghe più alte e un miglior work-life balance. Finisce così che anche le aziende più serie paghino lo scotto di anni di “condizioni da far west, che hanno contribuito a creare disaffezione – ha rimarcato Pavan –. Ora tocca a noi dimostrare che il mondo alberghiero non è la ‘giungla’ che molti immaginano e fare in modo che torni a essere nuovamente attrattivo”.
Scuola e burocrazia
Da parte loro, le scuole patiscono i limiti della burocrazia e della scarsa attenzione al mondo della formazione e, nello specifico, alle caratteristiche proprie di ciascun indirizzo scolastico. “I tirocini – ha raccontato Danilo Pilli, Docente Tecnico presso l’IPSSAR di Assisi – sono troppo corti, non c’è il tempo per i ragazzi di fare un’adeguata esperienza di lavoro e per l’azienda di conoscerli”. Ha concordato il collega Roberto Brilli, Referente per i PCTO (Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento) dell’Istituto Carlo Porta di Milano. Anche se esiste l’autonomia scolastica, che ha permesso per esempio alla sua scuola di aumentare il numero di ore per i tirocini, troppo basso rimane il vincolo del numero minimo di ore richiesto: appena 5 settimane in un triennio. “È impensabile che si possano trasmettere competenze e cultura del lavoro in così poco tempo. Il problema principale – ha sottolineato il docente – è che ci conosciamo troppo poco, noi e le aziende e, invece, servirebbero più tavoli di confronto, anche con le associazioni di categoria, per capire quali sono le competenze oggi più richieste dal mercato, per aggiornare la formazione su temi come digitalizzazione e sostenibilità e rendere più funzionali gli stage”.
Il mismatch di competenze
Proprio quello delle competenze è un altro dei punti nevralgici della questione dal momento che ormai, confessano le aziende, proprio a causa del mismatch marcato tra le skills richieste e quelle in possesso dei candidati, si assume più per attitudine che per curriculum. Ovvero: meglio un candidato impreparato, ma motivato, da formare internamente, che uno più skillato ma meno appassionato, pronto ad andarsene alla prima difficoltà. “Negli ultimi anni – ha confermato Pavan – guardiamo più all’approccio che alle competenze tecniche, che si possono formare sul campo. L’attitudine viene prima. Da questo punto di vista, la scuola dovrebbe stimolare ragazzi e ragazze alla consapevolezza verso ciò che stanno studiando perché capiscano subito se provano interesse per quello che sarà il loro lavoro”. Alla scuola – è il parere anche di Moroni – “possiamo chiedere di stimolare amore e passione perché, senza passione, queste professioni finiscono per diventare solo fatica e i ragazzi scappano”.
La dispersione post-diploma
Su questo punto a parlare è proprio il dato sulla dispersione post-diploma, che è molto alto anche in istituti di eccellenza, come le scuole di Assisi e Milano. “Negli ultimi anni – ha raccontato Pilli – vediamo con dispiacere sempre più ragazzi iscriversi all’alberghiero solo per ottenere un diploma, senza un vero interesse per il settore”. Una tendenza che – è l’opinione dei docenti – avrebbe a che fare con una generale difficoltà a motivare i giovani e “a trasmettere loro il valore dell’impegno e della fatica, che parte dalle famiglie”, ha concordato Brilli. Proprio per questo, un’alleanza solida tra scuola e mondo del lavoro è fondamentale, sia per offrire ai giovani una formazione di qualità, in linea con quanto chiede il mercato, sia per aiutare le aziende nel recruiting.
Queste ultime, da parte loro, hanno raccontato dell’impegno profuso durante gli stage per assicurare ai tirocinanti un’esperienza quanto più pratica possibile e hanno rilanciato al mondo della scuola e alle istituzioni il messaggio sulle competenze fondamentali oggi: conoscenza degli standard internazionali, capacità di approcciarsi a culture diverse e, più ancora, l’avere una visione d’insieme del lavoro, il saper fare squadra e lavorare in team.
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