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Opportunità di sviluppo

Di Marianna De Padova, 7 Maggio 2010

La figura del direttore d’hotel, dei suoi compiti e del suo sviluppo nella scia dell’utilizzo dell’outsourcing, è stata al centro del dibattito tenutosi a Roma nel corso della prima tappa del roadshow «Pensando al cost saving in chiave strategica». L’evento, organizzato da HotelVolver e da Job in Tourism presso l’hotel Exedra di Roma, ha visto il contributo di partner tecnici, tra cui il gruppo Boscolo hotels e i centri di chirurgia estetica laClinique, che con le loro case history hanno aperto un dibattito arricchito dalle opinioni dei partecipanti.
Principale dato emerso: l’esternalizzazione è unanimemente ritenuta un’opportunità di sviluppo, soprattutto in tempi di crisi, previa naturalmente un’attenta scelta del partner con cui confrontarsi. L’outsourcing, però, presenta anche dei rischi. Palmiro Noschese, area manager Italy Sol Meliá hotel & resort, nonché general manager del Meliá Roma Aurelia Antica, ha in merito idee ben chiare: «L’outsourcing è il futuro per i prossimi dieci anni ed è un modello imprenditoriale come un altro, ma attenzione: il cliente percepisce tutti i servizi con il nostro marchio. Siamo noi a metterci la faccia. L’importante è monitorare».
Monitorare: questo è il vero nocciolo del problema su cui il confronto s’è acceso. Il ruolo di direttore d’hotel è ancora molto spesso svolto e pensato come quello rappresentato nel film commedia Pretty woman, in cui il direttore, con piglio fermo verso il personale e discreta cortesia con i clienti, risolve tutti i problemi: un ruolo che oggi sembrerebbe doversi ridurre a una sorta di vigile urbano alberghiero, che con un fischietto riporta in riga i distratti responsabili di ditte esterne. Ma Giampiero Monti, presidente dell’associazione direttori d’albergo (Ada) del Lazio, intende proteggere la figura professionale del general manager: «Il direttore non può essere ridotto a un semplice controllore. Tuttavia l’outsourcing, che non è la soluzione a tutti i problemi dell’hôtellerie, ne è però il futuro, perché è l’unica alternativa al Ccnl che ci impedisce d’intervenire direttamente sui dipendenti che meritano l’allontanamento».
Sebbene i costi del lavoro in Italia siano notoriamente pesanti, per Ernesto Noschese, direttore dell’Una hotel Roma, la questione è più sottile: «Il mondo alberghiero sta cambiando. Noi abbiamo esternalizzato il facchinaggio e la pulizia delle camere, e onestamente non spendiamo di meno, ma abbiamo guadagnato in tempo. Un tempo in più che ci permette di svolgere con maggior efficacia i nostri compiti». Posizioni non del tutto allineate, dunque, ma che trovano accordo sulla necessità di focalizzarsi sul core business dell’azienda: il cliente. Raffaella Grando, direttore risorse umane di Boscolo hotels, illustra così l’esperienza acquisita in merito all’outsourcing: «Questo sistema ci permette di rendere variabile un costo fisso nell’ambito del conto economico, ma è fondamentale che gli standard del partner scelto siano allineati ai nostri e che i collaboratori siano adeguatamente formati. Inoltre non devono esserci discriminazioni tra dipendenti interni ed esterni. Solo così è possibile responsabilizzare un lavoratore che non conosce a fondo la mission aziendale. Questo perché nessuno deve mai dimenticare le esigenze del cliente».
Il cliente, insomma, deve essere al centro dei bisogni e dei servizi. In tempi difficili come questo, però, ragionare in termini di cost saving è fondamentale, non solo pratico. Per mantenere il giusto grado di soddisfazione degli ospiti, allora, quanti e quali servizi possono essere esternalizzati? Per Silvio Mignona, gruppo La Clinique, una proposta vincente potrebbe essere quella di offrire servizi aggiuntivi di tipo sanitario nell’ambito dell’offerta benessere, mentre Palmiro Noschese tende a considerare la ristorazione «l’anima di un albergo a 4 o 5 stelle, che non è il caso di esternalizzare».
Riassumendo, con un sistema di partnership in outsourcing che funziona si ha la quadra: conti che tornano, tempi guadagnati, professionalità dinamiche (nel bene e nel male). Tutti vantaggi acquisiti, «ma», chiede ancora l’editore di Job in Tourism, Antonio Caneva, «qual è il punto di rottura tra convenienza e qualità?». Quando il cliente non è più garantito nei servizi: unanime arriva la risposta, come unanime è l’esigenza di scongiurare questa evenienza, considerata la peggiore iattura possibile. Grando spiega così come Boscolo hotels affronti il problema: «Non bisogna mai perdere di vista la comunicazione tra tutti i responsabili interessati, altrimenti sono inevitabili malintesi che generano disservizi. Fondamentale è investire in fase preliminare, presentando progetti formativi condivisi, senza perdere di vista l’organicità di un unico obiettivo. A tale proposito esistono molti fondi europei per la formazione del personale. Indubbiamente ciò richiede uno sforzo culturale maggiore, ma che vale la pena perseguire». Grando insiste, insomma, sulla necessità di stabilire un forte dialogo, con briefing anche giornalieri, per creare una perfetta macchina organizzativa. Anche perché il dipendente di società in outsourging può essere ripreso solo dal diretto responsabile della sua azienda di provenienza. Dettaglio, questo, che sembrerebbe dar ragione a Monti, quando teme per il direttore una variazione d’attività. Variazione che secondo Massimiliano Tricca, presidente di Cegalin group, è già in essere. Così come per Johanna Fragano, general manager dell’hotel Quirinale Roma, che però non legge tale evoluzione in senso necessariamente negativo, bensì in direzione di una maggiore valenza manageriale della figura del direttore.
Sicuramente il dibattito è ancora aperto. Nella prossima tappa napoletana del 19 maggio potrebbero arrivare interessanti argomentazioni e suggerimenti per mantenere alti i profili professionali, garantendo al contempo funzionalità all’outsourcing: al momento, unico vero alleato degli hotel contro la crisi.

Costi a confronto

Nell’ambito dell’incontro romano Flavia Maria Coccia, direttore operativo Isnart, ha presentato un’analisi comparata dei costi alberghieri di Italia, Francia e Spagna, realizzata a partire dallo studio dei conti economici. L’anno in considerazione è il 2009, notoriamente annata complicata. Messa a confronto la spesa media per gestione del personale e utenze dei servizi sostenuti in strutture 4 stelle in Italia, Francia e Spagna, emerge così soprattutto come il costo per il lavoro italiano sia inferiore a quello francese ma superiore a quello spagnolo, mentre i costi energetici nel nostro paese sono i più alti: circa 89 euro per ogni camera, contro i 73 euro dei francesi e i 72 degli spagnoli. Il prezzo unitario dell’elettricità per gli hotel italiani, infatti, è di circa 8,7 euro ogni 100 chilowattora consumati, mentre per gli alberghi transalpini è di 5,3 euro e per quelli iberici di 7,9 euro.
Infine, la ricerca Isnart ha approfondito il confronto tra i costi alberghieri di due città come Roma e Barcellona: il risultato è impietoso ed evidenzia un costo medio mensile di 180 euro in più per ogni camera capitolina. Una differenza causata per il 60% dal costo del personale. A cui, inoltre, si deve aggiungere, nel calcolo del prezzo finale al cliente, il gap dell’Iva italiana, nettamente più alta rispetto a quella spagnola. E ciononostante, sempre secondo i dati Isnart, i turisti di Roma e del Lazio si dimostrano comunque molto soddisfatti: in una scala da 1 (minimo) a 10 (massimo), giudicano infatti l’offerta turistica della regione con un voto medio di 7,6. Gli elementi di maggiore soddisfazione riguardano la proposta ristorativa (7,7) ma anche la cortesia della popolazione locale (7,5), l’offerta culturale (7,5) e l’intrattenimento (7,4), nonché proprio la qualità del sistema ricettivo (7,4). Negativo, invece, il giudizio sul traffico, sull’organizzazione del territorio e, appunto, sui costi di alloggio e ristorazione.

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