Quante volte, da clienti, è capitato? Una cena ottima e alla fine… un pessimo caffè, in alcuni casi talmente cattivo da rovinare il gusto dell’intera cena. In effetti, quello del caffè è, per molti ospiti di un ristorante, l’ultimo sapore che resta in bocca, eppure la sua preparazione non gode, a differenza delle diverse portate salate e dei dolci, della giusta attenzione. Ma come si prepara un buon caffè nell’alta ristorazione?
Un po’ di consigli per ovviare a questo problema nel servizio – abbastanza diffuso – sono arrivati nel corso di una tavola rotonda organizzata da Agust, torrefazione artigianale bresciana dal 1956, e dall’associazione JRE – Jeunes Restaurateurs Italia.
Tecnologia e materiali
Opinione diffusa è che il caffè al ristorante sia spesso “cattivo” perché ne vengono preparati pochi rispetto, per esempio, a un bar ma, come ha sottolineato Giovanni Corsini di Agust, il punto sono piuttosto cultura e formazione.”Piccoli accorgimenti – ha spiegato – possono cambiare la sorte del caffè al ristorante. La scelta di packaging da 250 grammi invece che da 1 kg, per esempio, salvaguarderebbero la conservazione della materia prima. Portafiltri in acciaio invece che in ottone semplificano le procedure di pulizia, rendendo già buono il primo espresso. Tecnologie come il macinacaffè garantiscono la dose necessaria, facilitando la costanza di macinazione”.
Conoscere queste piccole curiosità “ci apre la strada verso la possibilità di servire un caffè di alta qualità nei nostri ristoranti – ha commentato Alberto Basso, presidente JRE-Italia e chef del ristorante TreQuarti -. Il problema di un espresso di qualità c’è sempre stato. È l’informazione di questo genere che permette a noi ristoratori di superarlo, mantenendo alta la qualità”.
La formazione
Naturalmente non è sufficiente avvalersi di una buona qualità di caffè o di strumentazione all’avanguardia, se chi prepara il caffè non è adeguatamente formato. La mano dell’uomo, l’ultimo step della catena, è “fondamentale per non vanificare il grande lavoro fatto a cominciare dalla produzione”, ha aggiunto Corsini. Una formazione che deve comunque tenere in considerazione i ruoli interni al ristorante: “Un ristoratore è spesso, allo stesso tempo, anche imprenditore, deve tenere conto di diversi aspetti – ha spiegato Massimiliano Mascia, del ristorante San Domenico di Imola -. Le persone che si occupano della preparazione del caffè possono essere diverse, non sarebbe sostenibile avere un esperto che si occupi solo di caffè. Ecco perché la formazione diventa fondamentale”.
La cultura del caffè
“Si fa formazione da una parte – ha concluso Mascia – e si incuriosisce il cliente dall’altra”. Il cliente in primis spesso e volentieri non è informato sul caffè come lo è su altri grandi prodotti dell’enogastronomia italiana, come vino od olio. Ecco perché è necessario intervenire, catturando l’attenzione di un cliente che “spesso va al ristorante per vivere un’esperienza anche culturale. La formazione diventa fondamentale non solo per servire il caffè, ma anche e soprattutto per raccontare la storia che sta dentro a una tazza”, ha dichiarato Stefano Di Gennaro del ristorante Quintessenza.
L’interesse dell’utente medio è, infatti, sempre più spiccato per tutto ciò che riguarda la materia prima, la sua storia, la sua tracciabilità, la sua identità. Ovviamente, nulla è immediato. Come è stato per i vini naturali, ad esempio, che hanno impiegato tempo ad attecchire nei gusti dei consumatori, così può essere per il caffè. “Siamo in Italia – ha evidenziato Dario Guidi dell’Antica Osteria Magenes – legati a una cultura gastronomica con radici profonde”.
La proposta: la carta dei caffè
Una volta migliorate strumentazioni e materie prime, una volta formato lo staff, una volta incuriosito il cliente, si può passare oltre, immaginando la creazione di una carta dei caffè, con differenti referenze a differenti prezzi: “La sfida in questa ultima fase – hanno concordato gli esperti – sta nel far percepire al cliente medio le diverse referenze e i relativi prezzi. Come per ogni materia prima, dal piccione al vitello, dobbiamo arrivare a far percepire una differenza. Magari costa di più, magari si deve attendere di più, ma hai un prodotto completamente diverso alla fine, un’esperienza diversa”.
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