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Come sta il lavoro? L’analisi annuale del PoliMi

Dal Great Detachment al nuovo modello della Skill-based Organization fino al ricambio generazionale: la grande sfida delle HR tra nuove competenze, benessere e AI nei dati della rilevazione annuale dell’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano

Dal Great Detachment al nuovo modello della Skill-based Organization fino al ricambio generazionale: la grand

Di Job in Tourism, 6 Giugno 2025

Dall’insoddisfazione diffusa alla difficoltà di reperimento di personale giovane e adeguatamente skillato fino ai tentativi di integrare in maniera strategica l’AI nei processi operativi, anche nell’ambito delle risorse umane. Come ogni anno, arriva in questo periodo la rilevazione dell’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano a misurare la temperatura del mondo del lavoro in Italia, indicando sentiment e pratiche che, benché trasversali ai diversi settori economici, risultano ampiamente riscontrabili in maniera specifica anche nel turismo e nell’ospitalità. Vediamo insieme i dettagli di questo studio in questo approfondimento dall’ultimo numero del nostro magazine digitale (sfogliabile per intero a questo LINK).

Il talent shortage

Il primo punto è il talent shortage. Ovvero: la difficoltà ad assumere. Un’azienda italiana su due – ha stimato infatti l’Osservatorio – prevede una crescita di organico nel 2025, ma ben il 78% delle organizzazioni fatica ad assumere nuovo personale e, in circa la metà dei casi, la difficoltà è in crescita nell’ultimo anno. L’aspetto più critico è la difficoltà a trovare candidati con le competenze tecniche adeguate. Il cosiddetto talent shortage rende ancora più centrale la capacità dell’organizzazione di sviluppare nuove competenze. Già oggi il 10% dei lavoratori deve essere riqualificato perché le competenze per svolgere il proprio lavoro non sono adeguate o sono a rischio obsolescenza entro i prossimi 3-5 anni.

Il nodo giovani

In questo quadro, si inserisce il tema “giovani”, con l’82% delle organizzazioni che ritiene prioritario attrarre e trattenere talenti delle nuove generazioni rispetto alle quali le aziende sono, però, chiamate a uno sforzo per comprendere e integrare i nuovi bisogni emergenti che esse esprimono – e che incarnano in modo emblematico le trasformazioni in atto in tutto il mercato del lavoro. I temi più rilevanti per la GenZ sono, infatti, il benessere e la ricerca continua di equilibrio tra vita lavorativa e privata. Un atteggiamento nel quale il lavoro è solo una delle possibili fonti di autorealizzazione e soddisfazione personale, una componente della vita che, pur importante, non può essere totalizzante. Un aspetto da non sottovalutare, da questo punto di vista, è quello del salario, che non è più considerato un obiettivo e nemmeno come un mezzo per raggiungere uno status, ma come una risorsa necessaria. I servizi assistenziali e di welfare forniti dall’azienda, invece, vengono percepiti come essenziali per sopperire alle mancanze di uno Stato percepito meno presente e in grado di garantire sicurezza e protezione.

Un malessere diffiuso

E poi, c’è il malessere diffuso tra i lavoratori che, dalla pandemia in poi, si conferma una costante: solamente il 17% – ha rilevato l’Osservatorio del Politecnico – è pienamente ingaggiato e appena il 10% “sta bene” nelle tre dimensioni del lavoro: fisica, relazionale e mentale. Una buona quota di dipendenti ha cambiato impiego nell’ultimo anno (11%) o ha intenzione di farlo entro i prossimi 18 mesi (30%). Tuttavia, l’aumento dell’inflazione, i timori di una recessione e l’instabilità economica rendono oggi più rischioso cambiare lavoro, facendo sentire spesso le persone “bloccate” e mentalmente disconnesse. Ed ecco, allora, affacciarsi un nuovo fenomeno, dopo quelli della Great Resignation e del Great Regret (il boom di dimissioni volontarie e relativi pentimenti): il Great Detachment, cioè lavoratori rassegnati all’insoddisfazione, che rinunciano a cercare una condizione migliore e spengono le proprie energie. Aumentano anche i quiet quitters, colore che restano al loro posto facendo il minimo indispensabile senza essere emotivamente coinvolti: oggi sono il 14% del totale, ben uno su sette.

Protezione e stabilità economica

Parallelamente, si afferma una crescente ricerca di protezione e di stabilità economica. Nella scelta di un nuovo lavoro, dopo il benessere – che rimane la principale motivazione per cambiare – tornano in primo piano criteri più “tradizionali” come le tutele del contratto, la retribuzione e i benefit. A conferma di questa tendenza, i servizi di wellbeing più richiesti sono l’assistenza sanitaria e i buoni pasto.

“Tra i lavoratori italiani – commenta Mariano Corso, Responsabile scientifico dell’Osservatorio – si rileva una crescente frustrazione, attribuibile alla percezione di instabilità del mercato del lavoro, accentuata da conflitti e crisi globali e da retribuzioni spesso inadeguate al costo della vita. Così, a fianco al benessere e all’equilibrio, che continuano a essere le priorità delle persone, si sta affiancando una crescente ricerca di sicurezza e protezione. In questo contesto, la sfida principale per le direzioni HR nel 2025 è lavorare sul senso e il significato del lavoro, cercando di ovviare al senso di precarietà crescente. In un’epoca di grande trasformazione, tra ricambio generazionale e rivoluzione tecnologica, l’HR deve tracciare la rotta del cambiamento delle organizzazioni, che oggi passa da AI, nuove strategie e nuove competenze”.

Per approfondire: Un nuovo modello aziendale: la Skill-based Organization

I cambiamenti in corso nel mondo del lavoro stanno spingendo le aziende a mettere a punto nuovi modelli organizzativi capaci di rispondere alla sfida della ricerca di personale e della retention. Ecco, dunque, affacciarsi le Skill-based Organization, realtà nelle quali le scelte di crescita, allocazione delle responsabilità e organizzazione del lavoro sono basate sulle competenze delle persone piuttosto che su fattori tradizionali come la posizione gerarchica, l’appartenenza funzionale o l’anzianità. Un approccio che si fonda sulla “de-costruzione del lavoro”, in cui le competenze dei dipendenti vengono abbinate dinamicamente a compiti o progetti specifici anziché a ruoli fissi e su un’analisi strategica delle competenze presenti nell’organizzazione, con una struttura più orizzontale e basata su team autogestiti. In queste organizzazioni, oltre a una migliore valorizzazione delle competenze – ha stimato l’Osservatorio del Politecnico di Milano – la percentuale di lavoratori che “sta bene” sale dal 10% al 18% e gli intender e dimissionari passano dal 41% del campione al 36%. Ma il vero dato sorprendente è la percentuale di lavoratori pienamente coinvolti e motivati, che balza dal 17% al 42%.

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