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I colloqui di lavoro tra employer branding e bias cognitivi

I consigli della psicologa del lavoro Sonia Picchi ai recruiters alberghieri per rendere più efficaci le selezioni del personale e attrarre le risorse migliori

I consigli della psicologa del lavoro Sonia Picchi ai recruiters alberghieri per rendere più efficaci le sel

Di Job in Tourism, 3 Dicembre 2025

Lo abbiamo raccontato più volte negli ultimi mesi nelle pagine di questo magazine: il recruiting nel mondo del turismo e dell’ospitalità ha cambiato volto. Trovare personale adeguatamente formato è diventato più complicato rispetto al passato e le aziende – almeno le più lungimiranti – si stanno adattando con politiche di attraction e retention calibrate su aspettative e bisogni nuovi espressi dalle persone. Ma quanto conta, in questo processo, il primo contatto, quello tra HR e candidati? Quali sono gli errori che, in fase di colloquio, i recruiters dovrebbero evitare per rendere i processi di selezione più efficaci e riuscire ad attrarre le risorse migliori?

Ne abbiamo parlato con Sonia Picchi, psicologa del lavoro, che lo scorso novembre, durante la nostra job fair TFP Summit Firenze, ha tenuto un seminario rivolto ai responsabili delle risorse umane del settore dedicato alle nuove esigenze e tecniche di colloquio, all’importanza del non verbale e alla gestione dei bias cognitivi durante il reclutamento.

L’importanza dell’employer branding

“Il processo di selezione del personale inizia ben prima del colloquio, con le strategie di employer branding messe in campo dall’azienda – premette Picchi –. Quanto più l’azienda è capace di promuoversi come luogo positivo, capace di valorizzare i propri dipendenti, tanto più sarà in grado di attrarre talenti desiderosi di proporre la propria candidatura. Ciò – sottolinea – vale in modo particolare per le persone più giovani, sempre più attente al bilanciamento tra lavoro e vita privata ancor più che allo stipendio”.

Reclutare persone, non competenze

Poi, però, arriva il momento del colloquio di lavoro vero e proprio, che “non può essere improvvisato, ma va preparato per tempo dal recruiter. Oggi l’azienda non è più l’unica a scegliere il candidato, anzi – osserva la psicologa – potremmo dire che le parti si sono invertite: è il candidato valido a scegliere dove voler lavorare. E se non si è in grado di attrarre le persone migliori e di rappresentare per loro la prima scelta, si corre il rischio di intercettare coloro per i quali un posto vale l’altro”. Con un effetto a catena sulla guest experience perché – nota Picchi – “il nostro albergo diventerà la seconda scelta anche per gli ospiti”.

Ecco, allora, che l’aspetto più complicato da gestire nella selezione non è più, come in passato, quello relativo a qualifiche e competenze strettamente professionali, quanto quello umano: “Bisogna aprirsi sempre di più all’idea che non stiamo reclutando competenze, ma persone e che il lato umano del colloquio di lavoro non può essere eliminato. Piuttosto, bisogna imparare a gestirlo a proprio vantaggio”.

L’importanza del non verbale

Da questo punto di vista, è molto utile porre attenzione alla comunicazione non verbale, che aiuta a interpretare le reazioni del candidato e, sulla base di questo feedback, a capire se il recruiting sta funzionando nel modo corretto. “La prossemica, ovvero l’uso dello spazio nelle relazioni, dice molto perché è istintiva e più difficile da camuffare rispetto ad altre reazioni. Se, per esempio, tutti i candidati si ritraggono fisicamente quando si discute della proposta economica pur non esprimendo a voce alcuna contrarietà, potrò dedurne che quella è un’offerta che non sta sul mercato e regolarmi di conseguenza”, spiega Picchi. A dover essere allenata è soprattutto l’intelligenza emotiva: “Tutti proviamo sensazioni mentre parliamo con gli altri: imparare a riconoscerle e a dare loro un nome è fondamentale per entrare in sintonia con l’altro”.

Il ruolo dei bias nel colloquio

Attività non semplice perché in azione entrano i cosiddetti bias, meccanismi cognitivi automatici che inducono a valutare in maniera distorta e pregiudizievole una persona o una situazione. Qualche esempio? L’affinity bias, ovvero il pregiudizio di affinità, che ci porta a giudicare un candidato sulla base di una caratteristica che ha in comune con noi, anche se questa non ha nulla a che vedere con il motivo del colloquio. O il bias di contrasto, per il quale un candidato non ideale viene valutato ottimo se incontrato dopo un candidato meno adeguato di lui.

Gestire i bias, tuttavia, è possibile, spiega Picchi: “Innanzitutto è importante sapere che esistono e interrogarci su come agiscono su di noi. Ricordiamoci che i bias sono delle scorciatoie cognitive che entrano in funzione per far risparmiare al cervello energia. Sono quindi meccanismi molto utili, ma che spesso ci inducono in errore. Per questo – consiglia la psicologa – è importante prendere appunti durante il colloquio, ma rimandare ogni decisione a un momento successivo, ragionando a mentre fredda sulla selezione”.

Il feedback

Infine, un suggerimento per la fase successiva al colloquio di lavoro: non lasciare mai i candidati senza una risposta, anche se negativa: “Le persone hanno bisogno di essere viste e riconosciute. È sufficiente un breve messaggio nel quale ringraziare per la candidatura e l’incontro e augurare il meglio per il futuro. Non dimentichiamoci – conclude la psicologa – che il colloquio di lavoro è, prima di tutto, relazione”.

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