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Non solo ricette: come si forma oggi uno Chef-Manager

Non più solamente un artigiano del gusto, ma anche un manager interculturale capace di guidare una brigata in armonia, definire un concept, stilare un business plan, rispondere alle nuove aspettative di sostenibilità: la nuova identità degli chef nell'analisi di Karine Hyon Vintrou, Direttrice Generale di École Ducasse

Non più solamente un artigiano del gusto, ma anche un manager interculturale capace di guidare una brigata i

Di Job in Tourism, 29 Ottobre 2025

Non è solamente questione di competenze tecniche. Lo raccontano spesso sulle pagine del nostro magazine recruiters, HR, General Manager, Capi Reparto: oggi il professionista dell’ospitalità si valuta non solamente in base all’esperienza e alle capacità professionali specifiche legate al ruolo, ma anche – se non soprattutto – per le cosiddette sofk skills, molte delle quali hanno a che fare con la capacità di relazionarsi con i colleghi, oltre che con gli ospiti, e di essere leader responsabili.

Ne è convinta anche Karine Hyon Vintrou, Direttrice Generale di École Ducasse, che in suo recente intervento ha sottolineato come “il successo di un grande chef si basa soprattutto sulla capacità di orchestrare una brigata in armonia“, al di là dell’arte del gesto, della padronanza della tecnica e della creatività individuale alle quali spesso si associa la cucina.

Più della tecnica, il team

“In un mondo segnato dalla globalizzazione, dalla crisi ambientale e dalla profonda trasformazione delle aspettative delle nuove generazioni, lo chef deve essere oggi al contempo artigiano del gusto, imprenditore visionario e manager ispiratore. Dietro ogni piatto – sottolinea Hyon Vintrou – c’è una squadra da unire, un’attività da sostenere e valori da difendere. Formare gli chef di oggi significa formare leader responsabili, consapevoli del loro impatto e del loro ruolo”.

Una professione in trasformazione

Come tutte le professioni legate all’ospitalità, anche quella dello chef è in grande trasformazione: “Qualche decennio fa, scalare la ‘scala’ culinaria era quasi un rito di iniziazione: rigida gerarchia, disciplina militare e riconoscimento dalle guide gastronomiche. Ma questa visione verticale della professione sta svanendo. Oggi i giovani talenti rifiutano l’autoritarismo delle brigate tradizionali. Secondo uno studio Deloitte (2023), il 46% della Generazione Z considera il benessere e il senso di scopo sul lavoro più importanti di una rapida carriera”.

Dall’osservatorio privilegiato della famosa scuola di cucina francese, si osserva come lo chef oggi sia diventato un “manager interculturale”, che tutti i giorni ha a che fare con brigate composte da talenti provenienti da tutto il mondo con background e sensibilità diverse. E con aspettative diverse, che hanno a che fare con l’allineamento ai valori personali, la ricerca di significato e l’equilibrio tra vita privata e lavoro. “In un mondo in cui i giovani professionisti valorizzano sempre più l’esperienza collettiva rispetto a una carriera meteoritica – nota la Direttrice – il ruolo dello chef non è più quello di comandare ma di unire, trasmettere e ispirare una visione condivisa”.

Le aspettative degli ospiti

La nuova identità professionale dello chef ha a che fare anche con aspettative mutate degli ospiti a tavola, che si aspettano più della semplice eccellenza nel piatto e richiedono impegni concreti. Secondo il Food Service Vision Barometer, per esempio, il 72% dei consumatori francesi considera la sostenibilità dei prodotti un fattore decisivo nella scelta del ristorante. “Lo chef – spiega Hyon Vintrou – diventa così un attore sociale, custode di valori condivisi“.

Le nuove competenze

Da qui, la necessità di definire nuove competenze professionali “soft”, che hanno a che fare molto con una dimensione manageriale più che con la sola competenza culinaria. Tra queste, fondamentali risultano saper comunicare chiaramente sotto la pressione del servizio, leggere le emozioni e cogliere i segni di scoraggiamento, gestire i conflitti senza compromettere la coesione, ispirare con l’esempio più che con l’autorità, motivare individui di background diversi.

“Aprire un ristorante, definire un concept, attrarre investitori e costruire un’identità del brand fanno parte della realtà dello chef – osserva poi la Direttrice di École Ducasse -. Un grande chef è anche un leader d’impresa. Deve comprendere budgeting, modelli di redditività e dinamiche di mercato. Deve innovare non solo in cucina, ma anche nell’esperienza degli ospiti, nel modo di collaborare con i produttori e nell’integrazione di soluzioni digitali e tecnologiche”.

Nuovi modelli di formazione

Per questo serve mettere a punto modelli di formazione professionali nuovi. “L’educazione non può più limitarsi alla padronanza tecnica; deve immergere gli studenti in scenari reali in cui sviluppano contemporaneamente competenze culinarie, manageriali e imprenditoriali”, spiega la Hyon Vintrou raccontando del metodo applicato da École Ducasse. Qui, per esempio, gli studenti lavorano su progetti che li espongono ai dilemmi reali affrontati dagli chef di oggi, come costruire una brigata multiculturale attorno a un menu comune, sviluppare un business plan realistico per un concept di ristorazione sostenibile, riflettere su approvvigionamento etico e riduzione degli sprechi, parlare in pubblico per difendere una visione culinaria.

“Attraverso queste esperienze, coltiviamo veri chef-manager, individui completi capaci di creare, guidare e ispirare – conclude la Direttrice -. Una visione che ridefinisce il ruolo dello chef, non più solo detentore di un know-how, ma catalizzatore di talenti, trasmettitore di valori e motore di impegno collettivo“.

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