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Il vero lusso? Essere unici e diversi

Di Floriana Lipparini, 23 Giugno 2006

«La nostra filosofia? Essere unici, esclusivi, diversi da tutti gli altri. Questa è l’essenza del vero lusso». Chi parla così, e può permetterselo, è Reto Wittwer, presidente e ceo di Kempinski hotels & resorts, collezione di prestigiosi hotel che in comune hanno l’insegna ma, per il resto, sono tutti differenti l’uno dall’altro.
Ultracentenaria, la celebre compagnia tedesca nel 1995 ha nominato Wittwer al proprio vertice e la sua lunga storia ha cambiato corso, uscendo dai confini della Germania per collocarsi in alcuni fra i luoghi più interessanti del mercato mondiale dell’ospitalità, là dove si prevede un business in crescita. Spesso si è trattato di una sfida da giocare con spirito da pionieri, per esempio nel caso di paesi africani come il Ciad o la Tanzania, trascurati da molti importanti gruppi alberghieri, forse poco avvezzi a guardare oltre l’immediato presente, o anche la Sicilia occidentale, Mazara del Vallo, dove il Giardino di Costanza è diventato la prima struttura Kempinski in Italia.
«Noi andiamo dove non va nessun altro, arriviamo per primi per essere appunto i primi», spiega il presidente, che si muove in questo campo con l’estrema disinvoltura di chi proviene da generazioni di albergatori. La famiglia paterna, infatti, aveva il mitico Suvretta di St. Moritz, ma nel suo dna c’è anche la Toscana materna, con la naturale propensione alla qualità e alla raffinatezza tipica della splendida regione italiana.
Tuttavia, com’è giusto per un grande manager e big player a livello mondiale, l’attenzione di Wittwer è sempre puntata sull’aspetto finanziario e sulle strategie commerciali. Sotto la sua guida, Kempinski, da compagnia principalmente proprietaria, si è trasformata in compagnia di gestione. Un trend sempre più diffuso nell’hospitality industry attuale. «Separare la proprietà dalla gestione è una saggia iniziativa dal punto di vista finanziario, ma anche operativo. Vengo da tre generazioni di albergatori e sono stato il solo a seguire la tradizione familiare; i miei due fratelli hanno scelto un’altra strada e lo stesso i miei figli. Però, proprio grazie alla mia conoscenza del mondo alberghiero, dico questo: tra proprietà e gestione può esistere un conflitto di interessi. Per fare un esempio, il manager che non è proprietario deciderà di cambiare i tappeti due anni prima del proprietario, che ci pensa su prima di investire il proprio denaro nel rinnovo. Del resto, i manager in viaggio di lavoro con la credit card aziendale non spendono forse di più, rispetto a quando viaggiano con la propria?».
Le strategie di Kempinski, che ha sede a Ginevra dove abbiamo incontrato Wittwer, hanno condotto a scegliere la strada del management contract con i proprietari delle strutture, costituendo nel medesimo tempo Global hotel alliance, formula elvetica di associazione molto esclusiva, ma anche molto libera: si può entrare e uscire quando si vuole, senza veti e obblighi. Ma allora, che cosa significa essere un hotel Kempinski, e quale criterio guida la selezione di una struttura da gestire?
«Noi guardiamo la carta mondiale e scegliamo di gestire location che rappresentino il numero uno nell’area o almeno, nelle grandi città, si collochino fra i primi tre», precisa Wittwer. «Devono essere hotel con una forte identità individuale, in grado di offrire un’esperienza unica, inusuale e indimenticabile. Non vogliamo fare un supermercato dei brand, non ci interessa avere alberghi tutti uguali, stessi standard ovunque, ma alla fine anche stesso albergo e quindi stessa esperienza, come tanti McDonald’s. Per gli Usa, stessa qualità significa identico livello dappertutto, è il loro concetto di franchising. Kempinski è all’opposto: i nostri clienti non vogliono sentirsi come a casa. Al contrario, vogliono scoprire la speciale essenza del luogo in cui soggiornano, che si tratti di Istanbul, di Dubai o della Sicilia, garantiti però dal nostro brand. Se guardiamo il nostro gruppo come se fosse un albero, vediamo che la base è costituita da trophy hotel, unici nel loro genere. Una questione di lifestyle».
Kempinski è arrivato primo in molti luoghi, in Russia, in Cina, ora in Africa. Ma l’obiettivo del gruppo è l’esclusività, non la quantità. Questo comporta un’accurata valutazione del mercato e della location perché, come usa dire fra i top manager, «la storia non si compera». In Cina, Kempinski è il secondo operatore dopo Shangri-La: hanno 18 hotel di altissimo livello ed entro tre anni saranno 30. Già ora le strutture Kempinski in tutto il mondo sono pronte a ricevere la probabile ondata di turisti cinesi. «Ai proprietari delle nostre strutture in Cina abbiamo detto: abbiamo bisogno di voi per identificare i cinque criteri più importanti per un cliente cinese», spiega Wittwer. «E in ogni hotel Kempinski, avremo operatori che parlano cinese. Un general manager d’hotel che voglia avere successo nella carriera dovrebbe passare almeno un anno in Cina, non si può evitare la realtà cinese».
A proposito di giovani manager, una domanda è d’obbligo: dal suo punto di vista, quali competenze contano di più nel mercato odierno? «Sul piano tecnico i manager se la cavano, ma per il resto vedo un grande gap: non sanno leggere i bilanci, eppure la gestione finanziaria è un elemento sempre più importante. Secondo me, gli ingredienti giusti sono un mix di stile, carisma, competenza e business marketing». Parola di un top manager di solida tradizione elvetica.

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