«La pressione del capo, la paura di non riuscire a fare carriera, il forte desiderio di avere successo dal punto di vista professionale e quindi di lavorare sodo per sfondare». Sono le principali motivazione che spingono sempre più giovani a lasciarsi catturare dalla spirale del cosiddetto «workhaolism», secondo la coach professionista certificata «master» dalla International coach federation (Icf), Marina Osnaghi. Un fenomeno che riguarda soprattutto la generazione dei millennials: stando a uno studio pubblicato da Forbes, il 63% dei millennials sarebbe produttivo anche in malattia, il 32% lavorerebbe addirittura in bagno e il 70% rimarrebbe sempre attivo pure nel weekend. E ancora, secondo un sondaggio pubblicato dal Washington Examiner, il 39% dei nativi digitali sarebbe disposto a lavorare perfino in vacanza… Ma cosa vuol dire esattamente «workhaolism»? Il termine è stato coniato nel 1971 dallo psicologo Wayne Oates nel suo libro Confessions of a workhaolic: the facts about work addiction e indica «la compulsione o l’incontrollabile necessità di lavorare incessantemente». E i suoi effetti possono essere devastanti: secondo un’altra ricerca dell’università di Bergen, i sintomi più comuni della dipendenza eccessiva dal lavoro sono depressione, ansia, insonnia e aumento di peso. Pensiero condiviso anche dalla psicoterapeuta Amy Morin, che nel suo bestseller internazionale 13 things mentally strong people don’t do ha evidenziato come il 42% dei millennials che lavorano intensamente più di 9 ore al giorno, e rimangono costantemente attaccati allo schermo del pc, abbia avuto riscontri negativi sulla propria salute mentale, andando a peggiorare le relazioni sociali con amici, parenti e il proprio partner. Cosa fare quindi per combattere questa vera e propria forma di dipendenza? Gli esperti consigliano di perseguire un equilibrio consapevole fra i vari aspetti della vita, trovare un mentore che possa trasferire la propria esperienza e concedersi una pausa costruttiva al termine di ogni giornata lavorativa, ricordandosi che la qualità del benessere psicofisico è insostituibile. E anche Marina Osnaghi ha un decalogo ad hoc in materia:
Dieci regole per evitare l’eccesso da dipendenza da lavoro
- Perseguire un equilibrio consapevole fra i vari aspetti della vita
- Trovare un mentore che possa trasferire la propria esperienza e fornire saggi consigli
- Seguire linee guida di vita sana
- Prendere come esempio qualcuno che abbia il giusto equilibrio di vita personale e professionale
- Ricordarsi che la qualità della vita è un bene insostituibile
- Osservare se stessi e l’ambiente circostante, imparando a prendere una meritata pausa dal lavoro
- Stilare un elenco delle attività extra lavorative preferite a cui dedicare più tempo
- Fissare un obiettivo legato al proprio benessere psicofisico e mantenerlo
- Ricordarsi di vivere anche per se stessi
- Rivedere la strategia con la quale vengono affrontate le giornate lavorative, cercando di capire cosa cambiare per migliore la qualità della propria vita
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