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Vanno d’accordo business e sociale?

Di Antonio Caneva, 29 Ottobre 2004

No, non sono un “buonista”, anzi, recentemente mi preoccupavo un poco perché negli ultimi tempi i miei editoriali avevano un taglio pessimistico che rifletteva quanto quotidianamente rilevavo nel corso dell’attività. Poi, improvvisamente, mi sono trovato dinanzi a due situazioni che avevano connotazioni positive, così, come già nell’ultimo numero, anche questa settimana ho l’opportunità di parlare di un’esperienza esemplare.
Parlavo qualche giorno addietro con Paola Iemmallo, la straordinaria human resources manager dell’Hilton di Milano, della norma che regola le assunzioni obbligatorie dei disabili. Sono abituato, quando si tocca questo tema, ad atteggiamenti di scontento da parte degli imprenditori, che lo vivono come uno dei tanti lacci e lacciuoli che condizionano l’azienda.
La legge 68 del 1999 ha modificato sensibilmente la normativa al riguardo e, per le aziende con oltre 50 dipendenti (questo è il caso dell’Hilton), dispone che le assunzioni obbligatorie siano pari al 7% dell’organico (precedentemente il 15%). Ora, Paola Iemmallo, in una visione univoca con il general manager Dennis Zambon, è riuscita a trasformare questo obbligo in un’opportunità. Come? In collaborazione con l’Anffas ha studiato quelle funzioni in azienda che, ripetitive, possono essere svolte con profitto dai disabili intellettivi relazionali, raggiungendo livelli di soddisfazione per gli interessati, le loro famiglie e l’azienda, tanto da aumentare la disponibilità di impiego dell’albergo oltre le 21 ore lavorative settimanali, spartiacque per il conteggio del disabile.
Dice giustamente Paola che per raggiungere questi obiettivi bisogna analizzare con attenzione le funzioni (in genere di back office) e la predisposizione e psicologia del candidato ma, una volta individuata la funzione, il disabile metterà talmente tanto impegno da riuscire perfettamente nel suo compito; aggiunge poi Paola che vale la pena anche di considerare i significativi sgravi fiscali, a fronte di questi impieghi.
Non é il libro Cuore, è l’avveduta politica di un’azienda che non ritiene che il business debba necessariamente essere in contrapposizione con il sociale.

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