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Valutare e gestire il commitment

Di Job in Tourism, 15 Febbraio 2008

Ospitiamo su questo numero di Job in Tourism un nuovo contributo Hay group sui trend più innovativi nelle politiche di gestione delle risorse umane. La società di consulenza di direzione globale sarà tra i protagonisti del prossimo evento human resources, organizzato al Palazzo ai Giureconsulti di Milano dalla nostra testata. In particolare, il 20 febbraio alle ore 17 e il giorno successivo alle 10.30 i due consulenti di Hay group, Luca Battagliero e Chiara Oldani, saranno i relatori di un intervento dal significativo titolo: «La professionalità del turismo come risorsa differenziante per il business».
Per definire una corretta e vincente strategia di gestione delle risorse umane è ormai sempre più importante prendere in considerazione, oltre alla leva delle compensation, ossia delle politiche di retribuzione, anche l’analisi e l’incentivazione del commitment, ovvero dell’impegno e del coinvolgimento dei collaboratori nelle strategie volte al conseguimento degli obiettivi societari. In tale direzione, il primo passo è rappresentato dal conoscere accuratamente qual è il livello di commitment attuale dei propri collaboratori: occorre, cioè, cominciare a comprendere qual è la percezione del personale in merito alle strategie aziendali di rewarding, includendo in quest’analisi sia le forme tradizionali dei riconoscimenti tangibili, sia quelle che potremmo definire ricompense intangibili.
Proprio Hay group ha accumulato una considerevole esperienza italiana e internazionale nel condurre opinion survey a tale riguardo. Il nostro protocollo specifico porta il nome di Engaged performance e comprende l’impiego di un sistema on-line capace di acquisire ed elaborare i dati ricevuti da ogni soggetto dell’indagine. Le campagne atte a misurare il livello di commitment delle risorse umane prevedono generalmente un periodo di circa 10-15 giorni di accessibilità a un questionario on-line, pubblicato su un apposito sito internet e messo a disposizione delle organizzazioni e dei loro dipendenti.
I risultati convergono sistematicamente in una banca dati mondiale, dalla quale è possibile derivare utili termini di confronto (benchmark). Ciò consente di dare una valutazione dei risultati di ogni singola impresa, tenendo conto non solo dei parametri interni a ciascuna organizzazione, ma anche di quelli esterni. Il confronto con altre realtà permette all’azienda non solo di percepire correttamente la propria situazione reale, ma anche di pianificare una nuova strategia di gestione del commitment e, successivamente, di misurare i risultati ottenuti paragonandoli al proprio benchmark di riferimento.
La ricchezza delle informazioni contenute nella banca dati Hay group consente, inoltre, anche l’elaborazione di ricerche a carattere generale. Recentemente, per esempio, abbiamo tracciato un profilo dell’attuale commitment medio nelle aziende italiane, utilizzando i dati aggregati delle indagini Engaged performance effettuate in alcune società nazionali nell’ultimo anno. Per delinearlo, abbiamo selezionato quei risultati dei questionari maggiormente attinenti al concetto di commitment in senso stretto. Abbiamo, cioè, considerato di particolare rilevanza per l’elaborazione del dato finale alcune variabili, quali la valutazione complessiva degli intervistati per l’impresa di appartenenza intesa come luogo di lavoro, le loro intenzioni in merito al tempo di permanenza nella stessa organizzazione e il loro livello di coinvolgimento nel perseguimento degli obiettivi societari. Abbiamo dato la giusta importanza, poi, anche alle risposte in merito al sentimento di appartenenza all’organizzazione (un concetto che si può tradurre anche in termini di fierezza) e alla disponibilità a raccomandare la propria azienda agli altri quale luogo ideale di lavoro. Naturalmente, quanto più positive sono state le indicazioni del personale a tal proposito, tanto maggiore abbiamo valutato il loro grado di commitment societario.
I risultati meritano una breve analisi, perché evidenziano trend degni di rilievo: la percentuale di persone che ha una percezione positiva o molto positiva della propria azienda è, in generale, particolarmente elevata quando si prendono in considerazione i fattori più emotivi, come il sentimento di appartenenza e il livello di coinvolgimento nel perseguimento degli obiettivi societari. Si è, insomma, un po’ tutti tifosi della propria squadra.
Un po’ meno elevata è, invece, la percentuale (64%) delle persone che vorrebbe lavorare ancora a lungo per la stessa organizzazione. Un dato particolarmente significativo, se si considera che il restante 36% degli intervistati si augura di cambiare presto azienda. Scende, inoltre, a poco più della metà la percentuale di persone che raccomanderebbe la propria organizzazione come buon posto di lavoro ad amici e conoscenti.
Quando si guarda, infine, all’aspetto più di sostanza, e cioè alla valutazione complessiva della propria azienda come luogo di lavoro, gli entusiasti e i positivi arrivano solamente al 44%. Ciò dà da pensare: è evidente, infatti, che le organizzazioni italiane dovrebbero (potrebbero?) fare di più e di meglio.
Ma che cosa, in particolare, potrebbe essere migliorato nelle nostre aziende? Il risultato dell’analisi ha evidenziato come, pur in presenza di una generale richiesta di maggiori risorse e informazioni, il problema principale non sembri essere la qualità del lavoro, ma il livello dell’organizzazione. Le maggiori perplessità riguardano, infatti, le difficoltà della propria azienda a trattenere i profili migliori, a innovare i propri metodi e processi, nonché a ottimizzare i flussi di lavoro.
Ne esce, insomma, un quadro in cui il management italiano avrebbe da rimboccarsi le maniche. Un’evidenza confermata anche dal dato relativo all’indice italiano medio di soddisfazione sul lavoro: un complessivo 46%, contro il 65% medio del benchmarking internazionale.
Cambiare il modo di lavorare nelle aziende è quindi una delle sfide più complesse e potenzialmente più rischiose che i nostri manager devono affrontare. È però vero che fare le cose giuste nel modo giusto permette all’azienda di avere maggior successo nell’esecuzione delle proprie strategie, nell’affrontare le minacce della concorrenza, nello sforzo di coinvolgere i propri dipendenti e nella creazione di un ambiente di lavoro positivo.
Confrontare la propria prassi con quella delle aziende più all’avanguardia nel campo della gestione delle risorse umane ed evidenziare le proprie aree di criticità costituisce, perciò, il primo passo per avviare un progetto consapevole e coerente di definizione delle migliori strategie atte a sostenere un’efficace esecuzione dei piani aziendali.

Luciano Chiussi e Luca Battagliero*

* rispettivamente Hay group insight practice leader e team leader della divisione reward information services di Hay group Italia

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