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Un’anomalia solo italiana

Di Carlo Romito, 6 Giugno 2003

Lo spunto lo ha dato il polemico intervento di De Martino all’Ada, non di meno ha riacceso gli animi la risposta che Cangi, segretario generale Fic, ha dato dalle pagine del giornale dei cuochi ita-liani. Nella scuola e nel mondo del turismo c’è fermento intorno alle tematiche della formazione, come del resto è giusto che sia in anni di profonde trasformazioni.
Noi abbiamo l’ambizione in questo contesto di volare alto, di dare valore aggiunto alla polemica in corso tirando in ballo diversi protagonisti ma anche soggetti nuovi che rappresen-tano situazioni innovative.
Innanzitutto, perché uno dei paesi dalla più antica tradizione e vocazione turistico-alberghiera ha “ingessato” un sistema di grande tradizione che è partito addirittura dalla scuola di direzione alberghiera di Rapallo a cavallo fra le due guerre? In Italia si è poi passati alle scuole di avviamento al lavoro che hanno proseguito nel dopoguerra con i centri Enalc, l’esperienza d’avanguardia di Stresa, quella dal 1960 di Milano e poche altre positive realtà, dando vita agli Istituti professionali alberghieri. In seguito vi è stata una vera e propria proli-ferazione e come sempre accade quantità fa difficilmente rima con qualità.
Oggi si torna a discutere a causa della “regionalizzazione” cui saranno soggetti gli Istituti statali che taluni giudicano positivamente perché dovrebbe legare maggiormente al territorio, alle categorie e alle esigenze pratiche, mentre altri esprimono profonde preoccupazioni per la minimalista o l’inesistente politica formativa di molte delle regioni italiane che accentuerebbe il divario di qualità formativa fra le diverse realtà del paese.
La principale domanda che noi ci poniamo, e che porremo ai nostri interlocutori, è que-sta: perché abbiamo un sistema così anomalo rispetto alle realtà dei paesi più evoluti, ove le capacità di ogni singolo istituto si identificano innanzitutto in una forte e reale autonomia di-dattica e finanziaria, forme di reclutamento certe e professionali del personale docente e diri-gente, e significative scelte di indirizzo professionale?
Il primo con cui desideriamo scambiare due chiacchiere è il preside Alfonso Benvenuto dell’Istituto Panzini di Senigallia (An), presidente della Re.Na.Ia, l’organismo di coordina-mento degli Istituti alberghieri e turistici Italiani. Il professor Benvenuto è stato fra i capi d’istituto che più hanno contribuito all’innovazione di questo indirizzo di studi ed è certamen-te, con la sua scuola, un punto di riferimento, oltre che una realtà fra le più vitali e positive.

Domanda. Professor Benvenuto, esiste realmente un’anomalia italiana, e in caso affermativo perché?
Risposta. Non bisogna dimenticare che ci troviamo a una svolta della scuola italiana che la vinco-lerà per diversi decenni . Una svolta che è mancata nel passato e la cui assenza aveva irrigidito i percorsi scolastici su una struttura mentale che aveva ormai fatto il suo tempo. La flessibilità degli interventi educativi che le nuove generazioni di giovani impongono, in quanto rifiutano un sistema scuola non più consono, richiede la stessa flessibilità nel modo di insegnare e di interessare alla cul-tura e alla crescita professionale i giovani degli anni 2000. Quindi l’anomalia, se così si vuole chiamare, interessa non tanto i giovani studenti quanto invece la docenza che non dimostra di esse-re flessibile come i discenti e tanto meno pronta all’adattamento e al modo di pensare dei giovani. Però, tra una corretta valutazione del sistema scolastico obsoleto, e il voler scombussolare radical-mente quella scuola da cui proviene l’attuale classe politica italiana, in onore alla devolution a tutti i costi, ebbene, ci corre molto.
D. A suo parere, la regionalizzazione è un bene o un male?
R. Può essere un bene ma potrebbe trasformarsi anche in una condanna allo svilimento di tanti anni di lavoro promosso e coronato da riconosciutissimi meriti dalla ex Direzione generale istruzione professionale. Al punto che la modernizzazione dell’area professionale, senza ombre di smentita, ha imposto a tutti gli altri percorsi scolastici di rivedersi al proprio interno e quindi di rivitalizzarsi in chiave moderna. La regionalizzazione potrebbe essere un bene o un male a seconda della chiave di lettura che si vuole dare. Il passaggio tout court alle regioni sicuramente sarà un male, un grande male, perché il provvedimento ignorerebbe decenni di duro lavoro che andrebbe in fumo. Nell’indirizzo turistico alberghiero la regionalizzazione riguarda la politica del fare turismo in que-sta o quella regione.
D. Diciamoci la verità, è puramente una scelta politica o anche tecnica?
R. Se la si vuole definire a tutti i costi, ma con scarsa valutazione del possibile danno che si può procurare, bisogna precisare che la natura politica della scelta è brutale e di parte, quella tecnica è piovuta dall’alto, fredda, con scarsa considerazione dei diretti operatori (i dirigenti scolastici dei diversi indirizzi sono stati scarsamente o nient’affatto chiamati a dire la loro) e delle categorie, se non con dichiarazioni di facciata. Devo fermarmi qui!
D. Con la regionalizzazione ci sarà una fuga delle professionalità migliori dalle scuole?
R. La ex Direzione generale istruzione professionale era riuscita a portare preparazione culturale e formazione professionale dei propri studenti a un livello piuttosto elevato, e la prospettiva di un prosieguo degli studi a carattere universitario non ha mai deluso le aspettative degli interessati (non pochi dei laureati italiani hanno una provenienza dall’Area Professionale di Stato) al punto che di-versi atenei universitari hanno deciso di istituire facoltà in Economia e scienze turistiche, proprio a testimoniare che l’interesse è di natura nazionale e non puramente regionale. Se ci sarà una fuga ancora non è dato sapere. Della docenza sicuramente sì. La fuga di ottimi docenti, che hanno sem-pre saputo relazionarsi con giovani operativi e con l’obiettivo di un valido e immediato inserimento nel mondo del lavoro, questo sì.
D. Quali sarebbero le cose più urgenti da fare per dare un senso maggiore a questo indirizzo di scuole?
R. Prima di tutto conoscerlo. Quindi capirlo e rivalutare il meglio che ha saputo esprimere nell’ultimo mezzo secolo. Denigrarlo e relegarlo a livello inferiore rappresenterebbe ingratitudine verso coloro che vi hanno dedicato una vita di lavoro e di sacrifici; che hanno consentito che la red-ditività nazionale potesse aumentare il proprio bilancio annuale grazie al lavoro di migliaia di operatori di settore e centinaia di migliaia di giovani che hanno portato il turismo nazionale ai livelli attuali e consentito che l’Italia divenisse il “giardino d’Europa” e potesse ospitare non pochi milioni di presenze tutti gli anni. Tutto questo non è nato dal nulla. Con il nulla si vuole distruggere il tutto.
D. Come si può puntare alla qualità in scuole ormai di massa?
R. Chi ha detto che la scuola di massa è una cattiva scuola? È solo frequentata da più studenti sud-divisi in classi e ogni classe ha il suo organico di docenti. Un Istituto con più studenti ha solo più classi. Ciascuna classe programma, opera, attua la propria programmazione, segue i propri obiettivi. Se poi le classi non vengono fornite di docenza, non si dispone delle necessarie strutture edilizie e di laboratorio, la scuola non è ubicata in edifici a norma con le leggi vigenti, non ha strumentazione informatica, non ha aule, non ha strumenti audiovisivi, non ha personale Ata sufficiente, e via elen-cando, ciò non significa che la scuola di massa non sia positiva. Il problema è di natura politica, e non certo a livello regionale ma del governo centrale che impone tagli alla scuola e alla sanità pro-prio quando questi due settori sono fortemente in crisi. Investire poco o nulla nella scuola altro non significa che penalizzare le generazioni future. Queste risulteranno poco interessate, ribelli al go-verno, alle famiglie, arrabbiati per il fatto di dover subire un sistema frutto del passato e vecchio come il passato. I giovani hanno bisogno di coerenza e di attenzioni. Soprattutto di rispetto. Esatta-mente di tutto quello che non hanno avuto nel passato. Purtroppo è troppo facile ripetersi che “chi è causa del proprio male pianga se stesso”.

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