Nuovo appuntamento con i capi-reparto del Kempinski Giardino di Costanza. Questa volta ci avventuriamo tra le pentole e i fornelli delle cucine dell’hotel per scoprire dalle parole dell’executive chef Salvatore Barbara in persona i segreti della sua proposta enogastronomica, nonché del modo in cui organizza il lavoro quotidiano e l’ampia brigata a sua disposizione.
Domanda. Diventare il responsabile delle cucine di un 5 stelle lusso è sicuramente un traguardo importante per qualsiasi chef. Quando poi lo si raggiunge a soli 34 anni significa davvero aver bruciato le tappe. Viene allora spontaneo cercare di capire come si faccia
Risposta. Semplice: con la passione e l’amore per il proprio mestiere. A cui poi bisogna sicuramente aggiungere una consistente esperienza internazionale, senza la quale probabilmente nessun cuoco avrebbe l’apertura mentale necessaria a gestire la cucina di un ristorante a vocazione necessariamente globale come quello di un 5 stelle lusso. Infine, bisogna anche saper cogliere le occasioni. Io, per esempio, sono entrato al Kempinski Giardino di Costanza, in fase di pre-opening, nel giugno del 2004 come sous chef. L’allora executive chef, che rimase nella struttura per soli due mesi dopo l’apertura dell’albergo, notò la mia professionalità e mi segnalò al management dell’hotel. A me non rimase altro, perciò, che accettare la sfida.
D. Ma quali sono le caratteristiche che un buon cuoco deve possedere, al di là delle necessarie conoscenze relative alle più avanzate tecniche della ristorazione?
R. Quando si è alla guida di grandi brigate, qui al Kempinski per esempio abbiamo ben 4 cucine, occorre soprattutto saper ascoltare e comunicare. Sono, infatti, finiti i tempi in cui lo chef poteva permettersi di urlare dietro ai propri collaboratori. Ora c’è maggiore attenzione nei confronti del personale e non solo per evidenti motivi etici: il reciproco confronto quotidiano permette, infatti, di ottenere una qualità del servizio altrimenti impensabile. Inoltre, in un mondo in cui, grazie a internet, è sempre più facile spostarsi da un posto di lavoro a un altro, comunicare con gli altri cuochi significa pure permettere loro di formarsi e crescere insieme a te: un valore aggiunto che spesso costituisce il fattore discriminante di una strategia efficace di retaining delle risorse umane.
D. La ristorazione è un comparto, che pur dotato di un’organizzazione precisa, lascia ampi margini di manovra e di creatività ai propri interpreti. Quali sono, perciò, gli aspetti più caratteristici della sua offerta enogastronomica?
R. Mi piace pensare che tutti i miei piatti appartengano a quella che amo definire la cucina del sole. Le mie ricette coniugano, infatti, in sé il sole, il mare e le spiagge, nonché la cultura e la tradizione di Sicilia. Un mix di sapori e profumi, insomma, che derivano dalla mia terra d’origine: una ristorazione tipicamente mediterranea, a cui però spesso affianco idee e spunti tratti dalla mia esperienza internazionale. Così, per esempio, il mio Tonno ai due sesami è frutto della contaminazione tra una tradizionale ricetta sicula, che originariamente prevede una lieve impanatura con il pan grattato aromatizzato, e un paio d’ingredienti, il sesamo dorato e quello nero, di provenienza tailandese. In fondo, in questo modo, non faccio altro che seguire ancora una volta la storia della mia isola, la cui natura è il risultato di una mediazione continua tra le diverse culture che si sono succedute nei secoli sul suo territorio.
D. A proposito di territorio, quanta importanza hanno i prodotti locali nella costruzione dei suoi piatti?
R. Moltissima. I clienti sono sempre più esigenti e informati. Occorre perciò offrire loro solo il meglio. Per quanto riguarda il pesce, così, sfrutto abbondantemente le risorse della Sicilia e, in particolare, proprio di Mazara del Vallo, celebre per il suo famoso gambero rosso. Non solo: presso il nostro Lido abbiamo persino un vivaio dove vivono varie specie ittiche locali, come l’aragosta e il tonno mediterraneo, ma anche il dentice e l’astice. Allo stesso modo, il nostro olio extravergine è di produzione del Giardino di Costanza, che per la spremitura impiega la celebre oliva nocellara del Belice. La carne, invece, proviene spesso dall’estero, in particolare da luoghi di produzione d’eccezione come l’Irlanda, l’Argentina e la Nuova Zelanda.
D. Un’offerta ampia e variegata, insomma, i cui contenuti meritano certo un approfondimento specifico e dedicato a ogni singolo piatto. Come giudica, in tal senso, la recente tendenza di molti cuochi a uscire dalla cucina per comunicare direttamente con i propri commensali?
R. È un’abitudine che amo molto anch’io. E non solo per spiegare i contenuti delle mie ricette. Trovo il dialogo con i clienti, infatti, particolarmente utile anche per capire quale riscontro reale abbiano le mie proposte culinarie. In fondo, noi cuochi non possiamo certo vivere e lavorare in una torre d’avorio al riparo da ogni contatto con l’esterno. Ascoltare le opinioni dei commensali non significa però per me adeguare pedissequamente la mia offerta alla loro volontà. Ciò che occorre sviluppare è, in realtà, un dialogo costruttivo. All’inizio della mia esperienza qui a Mazara del Vallo, per esempio, mi è capitato di incontrare alcune resistenze da parte della clientela locale ai miei piatti d’ispirazione giapponese, a base di pesce crudo. Con il tempo, però, il loro gusto si è abituato alla novità e ne hanno cominciato a comprendere e apprezzare la qualità.
D. Una sorta di dialettica del gusto, mi verrebbe da dire. Ma com’è cambiato il commensale tipo negli ultimi anni?
R. Come ho già accennato prima, è diventato più esigente e informato. Inoltre, è aumentato il numero di clienti con allergie o intolleranze alimentari. È perciò necessario tenere attentamente in considerazione tali variabili. Io, per esempio, grazie alla collaborazione con il nutrizionista del progamma longevity “Olis” del nostro centro benessere, sono in grado di fornire ai clienti che ne facciano richiesta menu con i dettagli nutrizionali completi per ogni singolo alimento. Attualmente abbiamo anche allo studio una carta dedicata ai celiaci: si tratta, in realtà, di un progetto più complesso di quello che potrebbe sembrare, perché occorre evitare ogni tipo di contaminazione del cibo con la farina. Quest’inverno, perciò, seguirò a tal scopo un corso specifico, mentre in hotel abbiamo intenzione di realizzare una nuova cucina esclusivamente riservata alla ristorazione per celiaci.
Chi è Salvatore Barbara
Ai fornelli sin da piccolo, Barbara, nato in Sicilia 34 anni fa, ha fatto propri tutti i segreti delle ricette tipiche isolane seguendo le abili mani delle donne di famiglia e ha trasformato un gioco in una vera e propria passione, che è poi diventata la sua professione. Dopo la scuola alberghiera di Erice, in particolare, ha fatto esperienza in numerosi ristoranti italiani ed esteri: in Grecia, in Francia, ad Haiti, in Guadalupa, in Martinica, nelle Maldive, a Singapore e in Nuova Caledonia. Ha poi trascorso tre anni in alcuni Club Med giapponesi, portoghesi e svizzeri, nonché sulle navi da crociera della Princess cruises in Alaska, Panama e Sud America. Si è, inoltre, perfezionato all’Institut de hôtellerie et arts culinaires Paul Bocuse di Lione con un corso in kitchen management & kitchen chef, per poi occuparsi della formazione del personale addetto alla ristorazione del Kempinski Emirates Palace di Abu Dhabi negli Emirati Arabi prima di approdare al Giardino di Costanza. Da settembre di quest’anno, infine, partecipa al programma la Prova del cuoco, in onda su Raiuno, dal lunedì al sabato alle ore 12.00.
La costruzione del menu
Ideare e realizzare la carta di un ristorante è sicuramente uno dei momenti al contempo più delicati e appaganti dell’attività di un cuoco. Salvatore Barbara spiega in questo modo il suo modo di interpretare la costruzione del menu: «Il mio punto di partenza è la stagionalità dei prodotti. Anche perché qui al Kempinski costruiamo quattro menu fissi all’anno, ognuno composto da cinque piatti per portata. È quindi assolutamente necessario assicurarsi la costante reperibilità degli alimenti. Alla carta fissa aggiungo poi un menu del giorno, generalmente costituito da due portate realizzate con le materie prime disponibili al momento. Per costruire le carte, inoltre, amo confrontarmi molto con i miei collaboratori, a cui lascio la possibilità di suggerire ricette, spunti e nuove idee. Il menu è così sempre il frutto di uno scambio di opinioni o, come piace definirlo a me, di un gioco creativo tra tutti gli chef della cucina. Naturalmente però non manca mai il mio tocco personale, spesso caratterizzato dalla scelta di cotture brevi, dall’abbinamento dolce-salato, dall’uso di affiancare il pesce alle verdure, anche croccanti, e al riso. Con i miei piatti mi piace, in particolare, proporre un’immagine della Sicilia quale crocevia internazionale dei sapori. Così, per esempio, la mia Trilogia di tonno è composta da tre tartare in un’unica portata: alla siciliana, alla francese e alla giapponese. Da non dimenticare, infine, sono i menu per le occasioni speciali e le festività. Mi piace allora ispirarmi alle atmosfere del momento e con queste dar vita a carte dotate di un carattere unico. È così, per esempio, che per le romantiche cene di San Valentino, amo pensare ai miei menu come a delle vere e proprie poesie di gusti e sapori.
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