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Una passione scritta nei geni

A colloquio con Alessandra Veronesi, chef sommelier del meneghino Principe di Savoia

A colloquio con Alessandra Veronesi, chef sommelier del meneghino Principe di Savoia

Di Massimiliano Sarti, 20 Dicembre 2012

Di origini veronesi, proveniente da una famiglia titolare di un ristorante enoteca, Alessandra Veronesi pare avere la passione per il nettare di Bacco scritta nei geni. «Fin da piccola parlare di cibo e di vini, per me, era come giocare con le Barbie», racconta infatti lo chef sommelier dell’Acanto, il ristorante del Principe di Savoia di Milano. «Mi è risultato quindi facile, quasi naturale, tramutare un gioco in un lavoro».

Domanda. Non ha mai avuto neppure il più piccolo dubbio?
Risposta. In realtà confesso di sì. Durante l’adolescenza ho avuto un periodo di rifiuto per la ristorazione: non mi piaceva che i miei genitori lavorassero tutti i sabati e le domeniche.
D. E poi, cosa è accaduto?
R. Ho cominciato a frequentare dei corsi dell’Associazione barman e sostenitori, scoprendomi interessata soprattutto alle lezioni in cui si parlava di champagne: l’unico vino generalmente trattato nei programmi Aibes. Tornare alla mia passione di bambina, quando portare a tavola le bottiglie della nostra cantina era uno dei miei giochi preferiti, è stato quindi assolutamente naturale. Già all’epoca delle superiori, peraltro, amavo andare in giro a scoprire cosa si nascondesse dietro a ogni etichetta. E per farlo non potevo che utilizzare i giorni del fine settimana. Quasi senza accorgermene ho così acquisito l’abitudine a lavorare nei weekend.
D. Come sono cambiati i gusti dei clienti in questi anni?
R. È cresciuta la conoscenza della cucina: i grandi chef ormai si vedono sempre più spesso in televisione e le persone sono diventate molto più consapevoli. Oggi abbinare un rosso al pesce non è più un tabù. È diventato pressoché normale. I gusti, inoltre, si sono ammorbiditi: adesso per esempio piacciono molto i vini che si possono abbinare ai sapori della cucina orientale, come i Gewürztraminer alsaziani o i nostri Pinot grigi; bottiglie che prima i commensali consideravano quasi solo per il dessert.
D. Non tutti i clienti sono uguali però. Come si adegua allora la propria proposta in base alle esigenze della persona che ci si trova davanti?
R. I commensali si possono dividere in due grandi categorie: quelli che chiedono la carta dei vini, magari conoscono solo un paio di bottiglie ma preferiscono arrangiarsi da soli; e quelli che invece desiderano ricevere dei consigli. In quest’ultimo caso si chiede loro cosa siano abituati a bere e si suggerisce di conseguenza l’accostamento.
D. Un esempio?
R. Se mi trovo di fronte a dei clienti che solitamente bevono Bordeaux, per esempio, evito di proporre loro vini provenienti dalle aree più fredde della nostra penisola, come il Trentino o il Friuli, ma mi indirizzo maggiormente verso la Toscana. Anche la variabile prezzo ha però ormai la sua importanza: data la natura extra lusso della struttura in cui lavoro, diciamo che fino a 100 euro non mi faccio molti problemi, ma dopo mostro sempre la carta, in modo da garantire la necessaria trasparenza.
D. Come definirebbe il ruolo del sommelier oggi?
R. Come una figura che non deve far fatica a parlare con i clienti: il ristorante, in fondo, è un po’ come un teatro, dove ogni giorno si mette in scena un vero e proprio spettacolo. La relazione con gli ospiti, perciò, è fondamentale. Pensi che a volte, durante la cena, io organizzo, per i commensali, persino degli itinerari alla scoperta delle migliori cantine del territorio. Credo che tutto questo una volta non potesse proprio accadere: l’atteggiamento richiesto ai sommelier era infatti molto più ingessato e formale.
D. A proposito di differenze con il passato: come ci si sente, da donna, in un ruolo che fino a poco tempo fa era appannaggio quasi esclusivo degli uomini?
R. Bene direi. Tanto più che qui alla Dorchester Collection (il gruppo a cui appartiene anche il Principe di Savoia, ndr), ci sono ben tre sommelier donne. In ogni caso, io non mi sono mai sentita in competizione con gli uomini, né sentita troppo, o troppo poco, considerata. Ho sempre pensato semplicemente che questo fosse il mio lavoro e la mia passione: so di avere un buon palato e mi faccio valere. Tutto qui. Certo, una volta le cose, effettivamente, erano un po’ diverse. Mi ricordo quando incominciai a fare i primi corsi all’Associazione italiana sommelier: su 120 iscritti, noi ragazze eravamo appena quattro o cinque.
D. E per quanto riguarda le ospiti: è cambiato pure il loro atteggiamento rispetto al vino?
R. La diffusione della cultura culinaria sta facendo sì che che anche la maggior parte delle clienti possegga ormai almeno le conoscenze di base dell’enologia. E i loro consigli influiscono sulla scelta finale della bottiglia. Una volta, anche solo per galanteria, era esclusivamente l’uomo a prendere le decisioni in materia.
D. Recentemente, all’Acanto, avete inserito una selezione di vini biologici di qualità. Come mai questa decisione?
R. Per venire incontro alle esigenze di quei clienti che fanno fatica a bere, a causa di una certa intolleranza ai solfiti. E perché, pur non essendo una fanatica del green a ogni costo, capisco le ragioni di chi ritiene che il biologico possa far star meglio le persone. I produttori più seri, peraltro, già da tempo si servono il meno possibile di solfiti e concimi artificiali; anche senza fregiarsi di un’etichetta green. E i grandi borgognoni sono biologici e biodinamici (ispirati cioè alle teorie del filosofo Rudolf Steiner, ndr) da almeno tre secoli a questa parte.
D. Come si costruisce, infine, un rapporto di collaborazione costruttiva con lo chef?
R. Come quello con un fratello maggiore: ogni tanto si discute, ma deve sempre esistere stima reciproca e rispetto.

La carriera in breve

Chef sommelier dell’hotel Principe di Savoia dall’ottobre 2011, Alessandra Veronesi ha ricoperto, nel passato, diversi ruoli importanti nel settore food & beverage, tra cui quello di responsabile di sala presso l’Antico Caffè Dante di Verona, prestigioso e storico locale del panorama locale, e quello di wine manager presso il ristorante Arquade a Villa del Quar. Al Principe di Savoia, tra l’altro, si occupa anche dell’organizzazione di visite guidate alle cantine con degustazioni e dà lezioni di abbinamenti gastronomici. È a capo, infine, di un team tutto al femminile, con Mara Vicelli come secondo sommelier.

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