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Una domanda per puntare altrove

Se non si raggiungono gli obiettivi, è tempo di cambiare quesiti

Se non si raggiungono gli obiettivi, è tempo di cambiare quesiti

Di Silvia Moretti, 16 Dicembre 2011

Come Joakim dovremmo imparare dal piccolo Mika l’usanza degli abitanti del pianeta Elio: «”Nel posto da cui vengo ci inchiniamo sempre quando qualcuno fa una domanda acuta”, spiegò Mika. “E più profonda è la domanda, più profondo è l’inchino”. Non avevo mai sentito una cosa tanto strana: non riuscivo a capacitarmi che una domanda potesse meritare un inchino. “E allora quando dovete salutarvi cosa fate?”. “Escogitiamo qualcosa di intelligente da domandare in modo da far inchinare l’altro”. Fui talmente colpito da quella risposta che, quasi senza volerlo, mi inchinai profondamente. “Perché hai fatto l’inchino?” mi chiese offeso. “Perché hai risposto in modo molto intelligente alla mia domanda” spiegai. “Una risposta non merita mai un inchino: per quanto intelligente e giusta ci possa sembrare, non dobbiamo mai inchinarci a una risposta”. “E perché no?”. “Una risposta è il tratto di strada che ti sei lasciato alle spalle. Solo una domanda può puntare oltre». (Jostein Gaarder, C´è nessuno, 1996)
Le domande sono uno strumento potente sia nella comunicazione inter-personale (con gli altri) che nella comunicazione intra-personale (con sé stessi): hanno il potere fondamentale di direzionare il focus dell’attenzione. Il nostro cervello processa 40 milioni di bit di stimoli nervosi al secondo ma la nostra mente conscia ha una capacità di elaborazione di gran lunga inferiore (40 bit al secondo). È un limite funzionale, ci risparmia la paralisi altrimenti provocata dalla tempesta di informazioni che ogni secondo si abbatte sui nostri sensi. Allo stesso tempo, però, ignorare tale gap ci costa molto caro: la consapevolezza che, ogni volta, avremmo milioni di focus alternativi su cui direzionare la nostra attenzione.
Vediamo soltanto quello che cerchiamo e ci perdiamo molto di ciò che non stiamo cercando, anche se è a portata di mano. La nostra esperienza del mondo è fortemente influenzata da dove poniamo l’attenzione. «La mappa non è il territorio» recita così uno dei presupposti della Pnl, la Programmazione neuro linguistica: la nostra lettura della realtà non è la Realtà, ne è solo una rappresentazione necessariamente parziale. E allora, come ampliare la prospettiva? Sono le domande che creano la nostra realtà. Porre domande potenti, efficaci, è una delle competenze del coaching: domande che evochino scoperta, perspicacia, impegno e azione. Domande aperte piuttosto che chiuse, riduttive e condizionanti. Domande orientate alle soluzioni piuttosto che alla comprensione del problema: chiedersi «come» invece di «perché». Il perché è retrospettivo, approfondisce il problema, rimugina; il come è generatore e potenziante, accompagna alle soluzioni. Le domande creano il cambiamento che vogliamo.
Se non raggiungiamo i nostri obiettivi, è il momento di riformulare le domande che ci poniamo: da «Perché non riesco?» a «Come riuscire?». Predisporsi all’azione anziché investire tempo e energie sul perché di risultati indesiderati. Peter Drucker, economista di fama mondiale noto in particolare per le sue opere sulle teorie manageriali, scriveva: «La fonte più comune di errori nelle decisioni manageriali è l’enfasi sul trovare la risposta giusta piuttosto che sul porre la domanda giusta». (The practice of management, 1954). E ancora: «Gli errori più gravi non sono stati fatti a seguito di risposte sbagliate. La cosa veramente pericolosa è la domanda sbagliata». (Men, Ideas and Politics, 1971).
La prima domanda delle nostra rubrica è perciò: come potenziare i nostri dialoghi sul lavoro, a casa, con gli amici e, soprattutto, quello interno?

Per le vostre domande: silvia.moretti@ymail.com

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