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Un servizio che sa di ritorsione

Un caso esemplare: la vicenda terminal 1 e 2 di Milano Malpensa

Un caso esemplare: la vicenda terminal 1 e 2 di Milano Malpensa

Di Damiano de Crescenzo, 19 Novembre 2010

Mi è stato chiesto recentemente quali investimenti nel settore dei trasporti e delle infrastrutture sarebbero necessari nei prossimi anni per incentivare i viaggi. Ebbene, per come si sono messe le cose, mi accontenterei che non venissero distrutte le infrastrutture esistenti. Mi riferisco a quanto è accaduto a Malpensa che, grazie al pasticcio Alitalia, ha perso numerosi collegamenti intercontinentali registrando, dal 2007 a oggi, oltre il 20% di passeggeri in meno nonostante lo sviluppo sostenuto delle low cost: sia i nostri connazionali del Nord, sia coloro che arrivano da mete lontane sono costretti a transitare da Roma, Parigi o Francoforte per arrivare a Milano; così, spesso, accorciano i loro tempi di permanenza, riducono il numero di trasferte (per esempio, per le manifestazioni fieristiche e congressuali) o addirittura desistono (vedi i casi di numerosi visitatori della fiera Macef, che oggi optano per la stessa manifestazione che si svolge anche a Francoforte).
Ma non è tutto: nel frattempo, infatti, le compagnie low cost, e in particolare EasyJet, hanno inserito numerosi voli per collegare Milano a tante destinazioni europee; il che ha sicuramente incentivato bene la ricrescita del traffico business e leisure. E come abbiamo risposto a questo fenomeno? È stata riattivata a pieno regime la vecchia aerostazione del terminal 2 di Malpensa: cioè quella obsoleta, senza parking interno, senza la stazione ferroviaria per il collegamento alla città, e quindi senza il nuovissimo Frecciarossa Malpensa, senza i tunnel d’imbarco agli aeromobili e con servizi scarsi e scadenti. Tutto ciò proprio nel momento in cui il nuovo terminal 1 si svuotava per l’abbandono di Alitalia, lasciando tutti i nuovi servizi e le infrastrutture in gran parte poco utilizzati. Forse qualcuno sosterrà che, per quel che si pagano i biglietti low cost, è giusto che ci sia una differenziazione. Ma come mai a Londra Gatwick, che accoglie gli stessi voli, questi servizi non mancano e non ci si sente nel Terzo mondo? Anzi, sicuramente una chiusura del terminal 2 potrebbe portare a una migliore ottimizzazione dei costi, favorire i viaggiatori italiani e stranieri e renderci un paese più organizzato. Ma forse è meglio «castigare» chi sceglie, o è costretto a pagar poco per potersi spostare con maggiore frequenza rispetto al passato.
Questa riflessione mi è nata in occasione della mia rapida trasferta a Londra per il World travel market. Dopo aver assistito, per l’ennesima volta, al dir poco sconcertante spettacolo della partenza (addirittura, alle 6 del mattino, le code dei check-in si incrociavano con quelle dei controlli di sicurezza), al rientro osservavo, con invidia, quanto accadeva a Gatwick: un comodo treno che collega il centro di Londra con l’aerostazione, nessuna coda ai controlli, tantissima offerta di negozi e ristorazione e persino dei comodissimi tunnel d’imbarco. Eppure volavo con la stessa compagnia di bandiera.
Mi è così tornato in mente un episodio risalente ai miei primi mesi di esperienza di direzione, quando ricevetti il compliant più caro che mi sia mai capitato di risarcire. Era il ponte del 1° maggio e, in quegli anni, Milano non si riempiva di turisti durante tali periodi e i fine settimana: gli alberghi, nei casi migliori, potevano raggiungere il 60% di occupazione. Ebbene, all’arrivo di una coppia di turisti norvegesi, alti e robusti con un consistente bagaglio, che beneficiavano di voucher membership reward della Radisson, venne offerta loro la peggiore sistemazione disponibile in albergo, nonostante la comoda disponibilità: cioè l’unica camera piccola e mansardata. Proprio in quei giorni il tempo graziò i turisti regalando sole e temperature estive. Il receptionist di turno ritenne opportuno assegnare quella stanza in virtù del prezzo che risultava dalla prenotazione, pari a una cifra di 70 mila vecchie lire (contro un prezzo medio di vendita superiore alle 200 mila). Ma tale tariffa altro non era che il rimborso che l’albergo avrebbe ricevuto dalla Radisson, per la redemption di un voucher che i clienti avevano guadagnato in quanto viaggiatori frequenti e quindi ottimi clienti della compagnia. Pur ignorando quest’aspetto, l’impiegato non tenne tuttavia minimamente conto né della statura dei clienti, né del bagaglio e nemmeno dell’ampia disponibilità di camere molto più grandi e confortevoli. I clienti, non certamente soddisfatti della sistemazione, chiesero di cambiare stanza, ma fu loro risposto che l’albergo era al completo. Ironia della sorte, durante il soggiorno di tre giorni si guastò pure il motore della tenda oscurante della finestra-lucernaio di quella camera e gli ospiti ebbero a soffrire anche il disagio del caldo e della luce.
Al mio rientro, il lunedì successivo, trovai un fax dei clienti su quanto accaduto, con le spiegazioni su come il soggiorno avesse rovinato il loro anniversario per il venticinquesimo anno di matrimonio e con la minaccia di forti ritorsioni commerciali sia nei confronti della Radisson sia della compagnia Sas: senza dilungarmi sugli sviluppi, fui costretto a risarcirli, acquistando per loro due nuovi biglietti aerei aperti, e in business class, ai costi di allora, e offrendo un soggiorno di tre giorni all inclusive in un altro albergo della compagnia; il tutto al modico costo di circa 3 milioni di lire. Il motivo di questo comportamento? L’impiegato, pur molto affezionato al suo lavoro, non tollerava che in quell’albergo potessero soggiornare dei «pezzenti» e riteneva giusto potersi in qualche modo vendicare, castigandoli.
Oramai i voli di durata media di 90 minuti, che collegano Milano alle principali destinazioni europee, vengono usati come se fossero poco più di una linea del metrò: a bassissimo costo, breve permanenza, senza necessità di imbarco del bagaglio, senza sentire l’esigenza di cercare differenze di classi o di avere il sedile reclinabile piuttosto che il pasto o il caffè durante il volo. E questa esigenza è sentita non solo dallo studente squattrinato ma anche da famiglie e persone facoltose, sia che il motivo del loro viaggio possa essere leisure (vedi il sensibile aumento di presenze negli alberghi nei fine settimana per lo shopping, per una partita di calcio o per una visita culturale) o business. Anzi, direi, per quel che ho visto, che la presenza di viaggiatori business ha superato ormai quella dei turisti leisure su questi voli. Insomma, volare low cost è ormai un po’ come viaggiare in metropolitana: mezzi di trasporto senza distinzione di classi sociali, che accomunano persone che li usano per risparmio economico piuttosto che di tempo.
Così, pur castigando tutti questi viaggiatori, non si riuscirà a far acquistare loro biglietti più cari per beneficiare dei servizi del terminal 1, ma sicuramente si darà loro una inspiegabile immagine di paese arretrato o disorganizzato perché, proprio quando le infrastrutture non ci mancano, si riesce a non renderle disponibili. E forse, mi auguro di no, si riuscirà a perdere pure quanto fino a oggi si è seminato.

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