Lavorando da vent’anni presso prestigiose strutture asiatiche, Aurelio Giraudo, dal 2004 general manager del Grand Formosa Regent Taipei, ha sviluppato una profonda conoscenza del mercato alberghiero orientale Lo abbiamo intervistato per conoscere la storia della sua carriera e le sue opinioni sulle attuali tendenze e opportuità.
Domanda. Signor Giraudo, com’è nata la scelta di fare questo lavoro?
Risposta. Più che una scelta penso che sia stata e sia una missione di vita; fin da piccolo mi affascinava il mondo dei grand hotel, dei viaggi all’estero e i film di Love Boat, la Nave dell’amore. La televisione era il mezzo che mi dava tutte quelle immagini di un mondo elegante e raffinato. Amici che frequentavo venivano da famiglie più agiate e mi raccontavano sempre i loro viaggi e le vacanze nei grand hotel. Sono nato da una famiglia modesta, mio padre era finanziere e prestava servizio come appuntato alla frontiera, mia madre era casalinga, quindi non vivevo certo nel lusso Dopo la scuola media ho cominciato quasi per gioco a lavorare come lavapiatti in Liguria, in un grand hotel, più che altro per potermi comperare un motorino dopo la stagione estiva, L’esperienza mi entusiasmò e così ho iniziato la mia carriera nel mondo del turismo alberghiero.
D. A cosa attribuisce il suo successo?
R. Non lo chiamerei successo ma ricompensa, dopo 25 anni di lavoro nel mondo alberghiero con impegno sempre uguale, dando tutto me stesso tutti i giorni come fosse sempre il primo. Fin da giovane ho avuto maestri che mi hanno insegnato tantissime cose e io ho cercato sempre di carpire i loro segreti. Ho preso l’abitudine di appuntarmi su un taccuino nero tutto quello che mi colpiva in giro per il mondo, un taccuino che tuttora continuo a compilare e a consultare, e spesso vi trovo preziosi spunti per il mio lavoro attuale. Se uso la mia esperienza, gli insegnamenti ricevuti, e imparo dagli errori miei e degli altri, riesco sempre a fare un ottimo lavoro. Una parte del mio successo, che appunto preferisco definire ricompensa, dipende dalla mia disponibilità a guardare sempre verso il futuro e mai verso il passato, cercando di migliorare il lavoro che sto facendo e dare spazio alle ideee dei miei collaboratori. Fortunatamente sono un direttore con vedute aperte e volte al futuro, quel che cerco di fare è di adattare lo stile e la classe degli anni 50 e 60 alle esigenze della clientela attuale e alla moderna filosofia di management. Il segreto è assumere una cerchia di collaboratori validi che sappiano lavorare assieme, sotto la mia guida..
D. Quale aspetto delle sue molteplici attività manageriali la coinvolge e le interessa di più?
R. Io mi considero un manager operativo presente in tutti gli aspetti dell’attività, anche quelli dove i miei collaboratori non si aspettano che ci sia. Basandomi sulla mia esperienza che per il 90% si è svolta in Asia, penso che un manager alberghiero debba lavorare bene sia in contatto con i collaboratori sia con la clientela. Se non c’è sinergia fra questi due elementi avremo una clientela poco soddisfatta, una direzione che non ha il totale controlle della struttura, e naturalmente una proprietà con pessimi risultati economici. La cosa che mi coinvolge e m’interessa di più è la sfida a raggiungere e superare parametri prefissati di guadagno, sviluppo del personale e soddisfazione totale della clientela. Se si bilancia il tutto gradualmente il successo è garantito.
D. In base alla sua profonda conoscenza dei mercati orientali, quali giudica le differenze più rilevanti rispetto al mondo alberghiero occidentale?
R. A mio avviso le differenze più rilevanti del mondo alberghiero orientale si osservano in due settori, il personale e le strutture alberghiere. Il mondo alberghiero occidentale a mio avviso è vecchio, con strutture mal rinnovate e personale poco istruito al servizio moderno. Abbiamo ancora in Occidente hotel a sevizio familiare che si affidano a direttori senza esperienza internazionale e senza una preparazione efficace e innovativa. Ogni volta che torno in Europa noto che il sevizio sembra scritto in un copione, molto schematico, privo di personalità e voglia di crescere. Naturalmente pesa molto il basso livello delle retribuzioni, che non incentiva il personale. In Asia la percentuale di lavoratori nel campo alberghiero è molto alta e il lavoro viene gratificato molto meglio che in Occidente perché è considerato di alto livello, ambito da molte persone. Certo, il costo della vita è molto più basso rispetto all’Occidente, ci sono meno tasse, si può quindi assumere più personale, con un rapporto di 1.5 a 2 per cliente. Le strutture poi sono molto più grandi e lussuose, con molti più servizi a disposizione e con meno costi che in Occidente. E il personale riceve una formazione all’avanguardia. Sottolineo il fatto che si tratta di strutture per l’80% guidate da direttori occidentali, con stile internazionale, al totale servizio del cliente.
D. C’è spazio in Oriente per nuovi investimenti nel campo alberghiero, e secondo quali criteri?
R. L’Oriente dal punto di vista alberghiero è un mercato nuovo, con nuove mete che vengono lanciate dall’oggi al domani, Lo spazio per investimenti è notevole, visto che i turisti occidentali sono sempre alla ricerca di nuove esclusive località di vacanza.
Attualmente, un buon criterio di investimento è di puntare su strutture piccole con servizio di alta classe, i cosiddetti boutique hotel, in zone esclujsive. Al momento la Cina è la nazione in maggior crescita, che offre opportunità di investimento a grandi catene alberghiere. Viceversa, gli orientali sono interessati a entrare nei nostri mercati. Sto notando che ultimamente varie piccole catene alberghiere asiatiche stanno cercando di sviluppare hotel e destinazioni in Europa. Sono primi passi che a mio avviso in un futuro non lontano porteranno altre compagnie a investire in Europa.
D. A suo giudizio, quale può essere una strategia vincente per gli albergator italiani interessati alla clientela proveniente dall’Oriente?.
R. Sono prevalentemente due le categorie di clientela orientale: il turista di massa e il businessman. Il turista di massa cerca sempre hotel al centro della città d’arte o in una location marina di alto interesse, Proporre strutture valide, moderne, con un buon servizio a prezzi competitivi e totale sicurezza, è una buona strategia. L’uomo d’affari asiatico cerca sempre struttura alberghiere con tutti i comfort, paragonabili a quelle modernissime di Tokyo, Singapore, Bangkok, Londra, New York. In questo senso l’Italia si è messa su una buona strada, con le nuove strutture a Milano, Roma, Firenze e in altre città. Da non dimenticare il servizio che deve essere sempre attento e professionale ma non oppressivo e distante. In ogni caso, l’Italia dispone di fiori all’occhiello come il Danieli, il Villa d’Este, il Principe di Piemonte, il Quisisiana, il Villa Medici e tanti altri, che rappresentano l’eccellenza a livello mondiale.
D. Per chi lavora in questo settore, quali sono le carte vincenti?
R. Esperienza maturata in diverse strutture in Italia e all’estero, attitudine al servizio e al rapporto umano con il personale, e soprattuto, per me, la voglia di riuscire e di non aver mai paura di dimostrarlo.
D. Quali sono, secondo lei, le ricette per uscire dalla crisi del turismo che si trascina da alcuni anni?
R. Su questo sarò molto drastico. Per poter rivitalizzare il turismo italiano bisogna investire in nuove strutture e rimodernare quelle a carattere familiare che continuano a sopravvivere con servizi non ottimali e bassi costi. Poi occorre ripensare e rinnovare le scuole alberghiere con programmi non per cuochi e camerieri ma per chef e manager. L’Italia ha paesaggi e clima che tutto il mondo ci invidia, ma le strutture non sono sempre adeguate. E per finire una politica che agevoli gli investimenti.
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