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Un frullatore di emozioni

Di Job in Tourism, 2 Luglio 2021

Stiamo uscendo da un frullatore di emozioni; chiusure, riaperture, mascherine, distanziamento, purtroppo decessi e a tutto questo, abituati ad una società “mamma”, non eravamo preparati. La psicologa Elisa Caponetti ci parla di una delle sindromi che possono emergere da questo quadro e che forse il turismo, con le proprie aperture, può contribuire a superare.

A poche settimane dalla fine delle pesanti restrizioni imposte a causa della pandemia in atto, gli italiani stanno reagendo attuando comportamenti contrapposti. Da un lato c’è chi sembra essere desideroso di voler recuperare quest’ultimo anno vissuto in isolamento, godendo intensamente e appieno ogni istante di libertà, trascorrendo così gran parte dei momenti liberi fuori casa in compagnia di amici e familiari. Ma all’opposto, c’è invece chi si porta dietro i segni di tutto questo, mostrando un forte timore alla ripresa di un’apparente vita normale ed è così che si è iniziato a parlare della cosiddetta “sindrome della capanna”, detta anche sindrome del prigioniero, ovvero la paura di uscire e di lasciare la propria abitazione, unico luogo ritenuto rassicurante e protettivo e che ci mette al riparo dal pericolo e dalla minaccia di un qualsiasi contagio da agente esterno. Questa sindrome si manifesta nel momento in cui è di nuovo possibile prendere contatto con la vita che si svolgeva precedentemente e si può così tornare ad avere contatti con il mondo esterno.
La sindrome della capanna può manifestarsi ogni qual volta si vivono lunghi periodi in cui avviene un distacco dalla vita normale, dal proprio abituale quotidiano e dalla realtà. Ed è così che nel momento (seppur tanto atteso) in cui si può nuovamente uscire, la paura prende il sopravvento e si trasforma in paralisi. È una dimensione emotiva che diviene pervasiva ed invalidante e che alimenta il distacco dal quotidiano. Purtroppo questo stato di grave malessere sta interessando moltissime persone. Uscire nuovamente di casa sembra essere qualcosa di impossibile.
Ed è così che prende il sopravvento uno stato d’animo pervasivo orientato verso l’ansia, l’insicurezza, la tristezza, la depressione, la paura, la tendenza all’irascibilità ma anche i disturbi del sonno, e ancora, assenza di energia e di entusiasmo, calo della motivazione, percezione di solitudine e assenza di speranza sino ad arrivare al non sentirsi di appartenere a questa società. Purtroppo tutto ciò ha generato la paura verso il mondo esterno, verso ciò che può verificarsi al di fuori della propria abitazione, ma anche il terrore di ammalarsi e di poter contagiare i propri familiari unito alla paura che nulla sarà più come prima.
Come detto però, non tutti reagiscono sviluppando tale sindrome. Le persone colpite sono soprattutto coloro che hanno vissuto la lunga fase di lockdown e di restrizioni imposte con uno stato di profonda sofferenza, non riuscendo a cogliere anche la parte positiva del ritrovarsi ad avere tempo a disposizione per se stessi cogliendone gli aspetti positivi. I sintomi che ne conseguono possono limitarsi ad un malessere temporaneo, ma possono invece configurarsi come quadro clinico caratterizzato da maggiori criticità. È importante però mandare un messaggio ai lettori: la sindrome della capanna è una risposta normale attivata conseguentemente a quanto si è vissuto. È sicuramente utile condividere quanto si sta affrontando con qualcuno, esternando i propri stati d’animo. Ciò aiuta non soltanto a ridimensionare il tutto e a prendere consapevolezza che ciò che si prova è comune anche ad altri, ma contribuisce a ridimensionare quanto si sta vivendo limitando anche il proprio senso di solitudine.
Si consiglia di monitorare il proprio stato di malessere e di rivolgersi ad un professionista se i disturbi in atto non dovessero trovare una veloce soluzione.

Il profilo
Elisa Caponetti, laureata in Psicologia e specializzata in Psicoterapia di Coppia e Familiare, svolge l’attività di consulente tecnico d’ufficio e perito del Tribunale, nei procedimenti civili, penali e minorili. Pratica attività di psicoterapia rivolta ad adulti, coppie e famiglie e, tra le varie attività, ha effettuato interventi volti alla tutela, cura e riabilitazione psichica dei minori vittime di maltrattamenti ed abusi. Collabora insieme a colleghi e colleghe alle attività dell’Osservatorio di Psicologia Giuridica e Forense del Laboratorio di Psicologia Sperimentale Applicata presso l’Università La Sapienza.
Caponetti cerca costantemente di tutelare e promuovere la professione dello psicologo, salvaguardandone la specificità e la qualità della carriera. “Contribuisco dinamicamente al dibattito scientifico italiano sui diversi temi della psicologia, sia attraverso pubblicazioni che organizzando convegni e giornate di studio, cercando di promuovere e diffondere una maggiore cultura della nostra professione, convinta della necessità di un confronto tra colleghi e consapevole del valore aggiunto che da ciò ne consegue”, spiega.


 

We are coming out of a whirlpool of emotions; closedowns, reopenings, masks, social distancing, deaths, sadly, and we were not prepared for all of this, being used to a “motherly” society. The psychologist Elisa Caponetti talks about one of the syndromes that may result from this situation, which tourism and its renewed activities may contribute to overcome.

A few weeks after the end of the heavy restrictions imposed by the ongoing pandemic, Italians are reacting by enacting contrasting behaviours. On the one hand, some people seem eager to make up for the last year spent in confinement, by enjoying every minute of freedom fully and intensely, spending a great amount of their free time outside, with family and friends. On the other hand, however, some are carrying the signs of all this, and seem to strongly fear a return to normal life. That is why we started talking of the so-called hut syndrome, also called prisoner syndrome, which is the fear of going out and leaving one’s home, the only place regarded as reassuring and protective, shielding us from the danger and threat of contagion from external agents. This syndrome manifests itself at the moment when it becomes again possible to resume life as it was before, and re-establish contacts with the outside world.
The hut syndrome can appear any time we live long periods detached from normal life, our daily habits and reality. As a result, when the time comes (though long-awaited) to again be free to go out, fear takes over and turns into paralysis. It is an emotional dimension that becomes pervasive and disabling, and causes a detachment from daily reality. Unfortunately, this state of distress is affecting a great number of people. Getting out of home again seems hardly possible.
Consequently, a pervasive state of mind takes hold which is oriented towards anxiety, insecurity, sadness, depression, fear, a tendency to irritability, but also sleep disorders, and even lack of energy and enthusiasm, a drop in motivation, a perception of loneliness and hopelessness, all the way to feeling that one does not belong in society. All of this has sadly generated a fear of the outside world, of all that can happen outside of one’s home, as well as a dread to become ill and infect one’s family, together with the fear that nothing will ever again be like it used to be before.
As I said, however, not everybody reacts by developing this syndrome. The people who are affected are mostly those who lived the long period of lockdown and restrictions in a state of deep suffering, not being able to also see the positive side of having time available for themselves, and enjoy what positive opportunities arose. The resulting symptoms may be limited to a temporary state of unease, or may develop into a clinical picture characterised by more serious difficulties. It is important, however, to send a message to readers: the hut syndrome is a normal response, activated as a consequence of what has been experienced. It is surely useful to share this unease with someone, and express one’s feelings. This helps to see things in their true light and become aware of the fact that it is a condition shared by many, but it also helps to reduce the sense of loneliness.
We recommend to monitor one’s state of discomfort, and contact a professional if it should not come to a rapid solution.

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