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Un accordo come tutti gli altri

Di Marco Beaqua, 4 Luglio 2008

Di contratti di management avevamo già parlato sul numero 1 di Job in Tourism dello scorso 4 gennaio. Torniamo tuttavia sull’argomento perché, durante l’ultima edizione di Eire, la fiera milanese dedicata al real estate, la divisione hospitality della società di consulenza Cushman & Wakefield ha dedicato alla materia un intero seminario con l’obiettivo di fare un po’ di chiarezza su una fattispecie contrattuale oggetto di un dibattito particolarmente acceso tra gli operatori del settore, ma che ancora stenta ad affermarsi all’interno del mercato del nostro paese.
«La percezione che gli investitori italiani hanno del contratto di management sta progressivamente mutando», ha sostenuto Marco Zalamena, partner di Cushman & Wakefield, «ma il percorso perché tale forma di accordo venga definitivamente accettata nel nostro mercato è ancora lungo. Vorrei tuttavia sottolineare come, in realtà, si tratti di un contratto come tutti gli altri, con i suoi pregi e i suoi difetti, capace però, a determinate condizioni, di garantire livelli di remunerazione a entrambi i contraenti mediamente più elevati dei tradizionali accordi d’affitto».
In questa tipologia di contratti, in pratica, la proprietà affida la gestione operativa dell’hotel a un soggetto terzo (normalmente una catena alberghiera) a fronte di management fee calcolate su parametri misurabili e contrattualizzati. «In questo modo», ha proseguito Zalamena, «l’operatore si assume la responsabilità operativa della gestione percependo, in cambio, una remunerazione basata, in parte, sul valore della produzione nonché sui ricavi di gestione, la cosiddetta base fee, e in parte sul margine operativo lordo, quindi sulla struttura dei costi, chiamata invece incentive fee. La proprietà rimane al contempo titolare dell’azienda alberghiera, percependo l’intero margine della gestione, al netto naturalmente delle fee».
Secondo lo stesso Zalamena, inoltre, il management contract presenta caratteristiche di flessibilità maggiori rispetto, per esempio, all’affitto, a fronte, tuttavia, di rischi relativamente superiori: «È però altrettanto vero che anche una locazione, quando conclusa con un gestore inaffidabile, non è certo esente da alcun rischio. Certo, i contratti di management, dato l’elevato numero di variabili da prendere in considerazione, necessitano quasi sempre di una consulenza professionale per la stipula dell’accordo».
L’elevata redditività del contratto di management sta peraltro determinandone il crescente successo. «I dati in nostro possesso», ha concluso Zalamena, «ci dicono che in Europa i primi 20 marchi alberghieri per numero di camere operano ormai quasi esclusivamente attraverso il modello del management contract o del franchising. Tale tendenza risulta ancora più marcata per i marchi del settore luxury. Proprio la costante espansione dei principali brand alberghieri ha però generato una crescente competizione tra gli operatori e un conseguente bilanciamento delle condizioni contrattuali a favore dei proprietari. Si è ridotta in questo modo la durata media degli accordi, mentre al contempo hanno assunto una maggiore incidenza le incentive fee e le clausole di performance. Soprattutto ora i gestori si dimostrano decisamente più disponibili ad accettare l’intervento della proprietà nella definizione dei tanto temuti investimenti necessari all’adeguamento delle strutture agli standard di catena».

L’evoluzione del settore in Italia

Dal 2000 al 2007 i dati Cushman & Wakefield evidenziano, anche per l’Italia, una generale tendenza dei grandi e piccoli gruppi alberghieri a focalizzare le proprie strategie sulla mera gestione degli hotel, a scapito della proprietà diretta delle strutture. Questo trend ha naturalmente favorito un consistente sviluppo del contratto di management, che ha riguardato soprattutto le grandi compagnie alberghiere internazionali. «In particolare», ha spiegato Marco Zalamena, «in questi otto anni, il numero di alberghi condotti direttamente dai proprietari delle strutture è calato del 4%, mentre quello degli hotel dati in affitto è cresciuto del 4%. Contemporaneamente, inoltre, i contratti di franchising sono aumentati del 25% e quelli di management di ben il 44%. Un dato, se possibile ancora più interessante, riguarda poi l’evoluzione della rilevanza di ogni singola modalità contrattuale all’interno del mercato italiano. In altre parole, se nel 2000 le strutture gestite tramite accordi di franchising o di management rappresentavano rispettivamente il 17 e il 2% del numero totale degli alberghi presenti nel nostro paese, nel 2007 tali contratti sono saliti, sempre rispettivamente, al 36 e al 5%»

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