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Tutti i vantaggi del corporate wellbeing

Uno studio di The European House – Ambrosetti e JOINTLY spiega, in numeri, come e quanto i servizi per il benessere dei dipendenti aumentino la produttività e diminuiscano il turnover, comportando per l’azienda anche vantaggi fiscali

Uno studio di The European House – Ambrosetti e JOINTLY spiega, in numeri, come e quanto i servizi per il b

Di Job in Tourism, 26 Agosto 2024

È una delle nuove “parole magiche” delle risorse umane: corporate wellbeing. Ovvero, l’insieme organico e sinergico di servizi e soluzioni che le imprese possono implementare per migliorare il benessere organizzativo e personale dei propri collaboratori. Strumenti sui quali sempre più aziende stanno concentrando attenzione e investimenti come leva per attrarre e trattenere personale in un momento caratterizzato da una difficoltà a fare entrambe le cose trasversale a tutti i settori economici – turismo e ospitalità in testa.

Ma qual è l’impatto concreto del corporate wellbeing? È in grado davvero di aumentare produttività ed engagement dei dipendenti e diminuire il tasso di turn over? Una risposta prova a darla, numeri alla mano, lo studio “Produttività e benessere organizzativo: le imprese di fronte alle nuove sfide del mercato del lavoro” realizzato da The European House – Ambrosetti e JOINTLY, società B Corp attiva proprio nel settore del corporate wellbeing. 

L’impatto sulla produttività

Per quanto riguarda il primo aspetto, quello della produttività, dalle analisi svolte e approfondendo  alcune esperienze virtuose a livello settoriale (ad esempio, nell’industria farmaceutica in Italia, dove il ricorso a welfare, parità di genere e tassi di inclusione è superiore agli altri settori economici), si è rilevato che l’adozione di strategie di corporate wellbeing può portare a un incremento del 20% di produttività rispetto alla media delle aziende che non le adottano, con un valore aggiunto per addetto pari a quasi 60mila euro, a fronte di una media attuale di 50mila euro.

Allo stesso tempo, l’implementazione di iniziative per il benessere organizzativo risulta in grado di fornire una risposta efficace anche a fenomeni molto diffusi come il crescente malessere dei lavoratori italiani, con il 46% che si dichiara “molto stressato sul luogo di lavoro,” e solamente il 5% “pienamente ingaggiato dalla propria azienda”, come ha rilevato il report Gallup “State of the Global Workplace 2023”, ma anche l’indagine annuale del Politecnico di Milano sul lavoro in Italia. 

E quello sul turnover

Un disagio che si riflette nell’alto tasso di turnover, che in Italia ammonta al 40%, con valori più elevati tra piccole aziende e servizi e che impatta non poco sui costi aziendali. Tra quelli diretti, di assunzione e formazione, e indiretti, dovuti a una diminuzione, seppur temporanea, della produttività – stima lo studio di Ambrosetti e JOINTLY – una dimissione ha un costo medio per l’azienda pari a circa il 50% della RAL del dipendente leaver (con un peso variabile e crescente dai lavori ad alto tasso di turnover e poco remunerativi fino alle posizioni dirigenziali). Ipotizzando, quindi, un costo del turnover del 50% sulla RAL, ogni singolo dipendente dimissionario costa in media all’azienda più di 11mila euro.

Agire, quindi, sulla capacità di retention, ovvero di trattenere i talenti tramite attente strategie di corporate wellbeing, potrebbe consentire alle aziende di ridurre il costo del turnover con un beneficio complessivo stimato di circa il 16% sul costo annuo del personale.

“Trasformare l’offerta di welfare, spesso basata su benefit monetari e iniziative frammentate, in una strategia coerente e integrata per il corporate wellbeing, che supporti il benessere dei collaboratori in maniera personalizzata, dall’assistenza alla famiglia alla formazione continua, dal benessere fisico a quello psicologico, passando per il tempo libero, fa bene al benessere organizzativo – spiega Francesca Rizzi, CEO di JOINTLY –. Inoltre, è anche economicamente più efficiente e conveniente per l’azienda, come spiegato nello studio, che ha rilevato come a fronte di una spesa media in corporate wellbeing di 2.500 euro pro capite viene abilitato nel complesso un valore reale per il dipendente pari a oltre 11mila euro con un ‘moltiplicatore’ di 4,5 volte”. 

L’efficientamento del costo del lavoro

C’è, infine, un altro aspetto. Incrementare l’offerta di benefit non monetari ai propri dipendenti permette anche di efficientare il costo del lavoro, attraverso una duplice leva: il beneficio fiscale e l’innovazione delle strategie retributive. “Ipotizzando un aumento del +50%, il peso dei benefit (materiali e immateriali) salirebbe al 9,6% della RAL e l’azienda – calcola ancora lo studio – otterrebbe un duplice vantaggio: da un lato un beneficio fiscale, ottenuto applicando l’aliquota IRAP del 24% all’incremento del +50% dei benefit materiali e immateriali per il numero di dipendenti, dall’altro un beneficio in termini di innovazione nella strategia retributiva (moltiplicatore economico)”. Il primo aspetto – il beneficio fiscale – può portare a un risparmio annuo fiscale compreso tra 5.500 euro per le PMI e 380mila euro per le grandi aziende; il secondo a un impatto positivo (+2.800 euro di valore) creato per il collaboratore, a fronte di circa 600 euro di spesa (moltiplicatore economico pari a 4,5), pari al 12% della RAL annuale media in Italia. 

“Oggi più che mai – sottolinea anche Pio Parma, Senior Consultant dell’Area Scenari e Intelligence di The European House – Ambrosetti e curatore dello studio – migliorare la ‘qualità’ del luogo di lavoro intervenendo sulla leva del benessere aziendale consente alle imprese di rafforzare la propria attrattività e distintività sul mercato del lavoro, in un contesto di crescente difficoltà di recruiting, dimissioni e quiet quitting da parte dei dipendenti. Lo studio ha messo in luce i benefici legati all’adozione di una strategia integrata di corporate wellbeing per aumentare la produttività e ridurre i costi interni, molti dei quali ‘sommersi’”.

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