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Tutti i sensi dell’eccellenza

Dalla parità di genere al problema del turn over in hotel fino alla proposta di un nuovo metodo di formazione basato sulla sensorialità: intervista a Sara Abdel Masih

Dalla parità di genere al problema del turn over in hotel fino alla proposta di un nuovo metodo di formazion

Di Silvia De Bernardin, 20 Ottobre 2022

Vent’anni di carriera nell’ospitalità di alta gamma, la recente direzione di due hotel nel cuore di Milano, la passione per lo sport e per la programmazione neurolinguistica. E, ancora, cinque lingue parlate fluentemente e una certificazione da mental coach. Sara Abdel Masih ha lasciato nei mesi scorsi il mondo degli alberghi per lanciare un nuovo progetto, del quale è CEO e Founder, la sua Sensory Academy Management, che propone un nuovo approccio alla formazione basato sui sensi e ispirato alla sua esperienza in hotel. In questa intervista ci racconta il suo punto di vista sulla parità di genere nel mondo dell’ospitalità, ma anche sul problema del turn over che, proprio in nuovi modi di coltivare il talento, potrebbe trovare una soluzione.

Domanda. Fino a pochi mesi fa era a capo di due hotel milanesi. A che punto siamo in fatto di parità di genere nell’hôtellerie italiana?
Risposta. Devo riconoscere che quando era completamente immersa nell’operatività e nel cuore del mio percorso di carriera, non avevo mai preso troppo in considerazione questo aspetto. Il mio approccio è sempre stato: testa bassa a via verso l’obiettivo. Ora che mi sono dissociata dall’operatività e vedo le cose da un punto di vista altro e più distaccato, mi rendo conto di questo grandissimo gap, che è oggettivo e che non possiamo nasconderci.

D. Un gap che riguarda più le figure apicali, secondo l’immagine del famoso “soffitto di cristallo” che non si riesce a infrangere, o anche i ruoli operativi?
R. Credo riguardi entrambi. Nel caso dei ruoli apicali semplicemente si nota di più perché si tratta di posizioni più esposte, rispetto alle quali è più facile notare differenze in relazione alla rappresentanza maschile. Nel caso dei team operativi differenze ci sono, ma si notano meno perché è più difficile che la loro composizione venga esplicata verso l’esterno.

D. E non è solo un problema di ruoli, ma anche di retribuzione…
R. Assolutamente sì. Anche da questo punto di vista si fa molta fatica. Se guardo alla mia esperienza personale – e a come sono fatta io – per esempio, posso dire di aver sempre puntato all’obiettivo più che al ritorno economico. Se è stato funzionale? Forse sì: quando cerchi l’eccellenza a costo “zero” è, per certi versi, molto più semplice. Se all’obiettivo avessi associato la richiesta di un ritorno economico di rilievo, forse sarebbe stato più difficile raggiungere certi risultati.

D. Ma rispetto all’estero come sia messi in Italia?
R. Io avuto contatti con gli Stati Uniti, che sono sempre un passo avanti, anche nel mondo hospitality. Ultimamente sono stata a Dubai e, invece, lì siamo parecchio indietro. Diciamo che noi siamo a metà della strada, con una salita molto ripida davanti.

D. Eppure, poi c’è chi ce la fa. Fino a poco tempo fa era general manager dell’Hotel dei Cavalieri Milano Duomo e dell’Hotel The Square Milano Duomo. Cosa l’ha portata lì?
R. Sicuramente, in quella fase per me sono stati fondamentali la ricerca dell’obiettivo e la voglia di fare un’esperienza diversa, più sfidante di quella precedente. Probabilmente ci sono state delle variabili che hanno supportato quel percorso, relative al riconoscimento in atto nella società di oggi di alcune caratteristiche legate all’impronta femminile manageriale, come l’empatia e la capacità organizzativa. Se poi accompagniamo tutto questo al fatto che io non abbia mai chiesto cifre esorbitanti, ma abbia piuttosto anteposto la possibilità di conoscersi reciprocamente con l’azienda con la quale mi interfacciavo per capire quale fosse il potenziale reciproco e poi trovare un accordo, ecco questa credo che sia stata la chiave vincente. Un approccio che mi sento di trasferire perché credo che sia quello più onesto e rispettoso.

D. Un approccio, anche questo, tipicamente femminile. Difficilmente un uomo non metterebbe subito sul piatto la componente economica…
R. Assolutamente sì. Io penso che in una negoziazione l’interesse debba essere comune. È chiaro, però, che se io metto davanti l’obiettivo e non la parte economica – cosa che tendenzialmente è il macro-obiettivo per molte figure maschili – stiamo puntando a obiettivi differenti.

D. Uno dei problemi principali del settore oggi è la difficoltà a reperire personale. Oltre alle cause delle quali si parla sempre, può incidere anche la scarsa attenzione verso parametri come parità e inclusione, considerando che i lavoratori oggi sono sempre più attenti anche a questi valori?
R. Piuttosto penso che questa situazione critica rischi di mettere da parte tutte le questioni annesse all’inclusione e alla parità di genere. In questo momento, le aziende cercano le figure che mancano. Punto. Poi, in un secondo momento potrebbero permettersi di fare ricerche più mirate. Adesso si ha un bisogno operativo di base, che è quello di colmare i posti che mancano per mandare avanti le strutture. E credo che tutto il resto si stato messo in disparte.

D. Ed è un peccato forse…
R. Sì, anche perché siamo in un momento molto critico. Stiamo affrontando un cambio generazionale importante, con le “vecchie leve” che fanno fatica ad accettare l’evoluzione in corso della leadership e degli obiettivi di chi lavora. Una volta faceva carriera chi era le totalmente devoto, chi si “sparava” 15 ore al giorno di lavoro, non chiedeva l’aumento e magari poi faceva ottenere una buona performance all’hotel. Oggi abbiamo difronte una nuova generazione, che ha bisogno di esprimersi e di vivere la propria vita, e per la quale il lavoro non è il primo obiettivo dell’esistenza. Che piaccia o non piaccia, dobbiamo tenerne conto. Stanno cambiano anche gli strumenti, che oggi permettono di ottenere dei risultati continuando a vivere una vita nella quale si è più padroni del proprio tempo.

D. Lei è anche mental coach. Oggi si parla molto del strumenti come, appunto, il coaching, da portare in azienda come leve per l’attraction e la retention dei talenti. Cosa ne pensa?
R. Personalmente credo che ognuno di noi dovrebbe essere il mental coach di sé stesso, ed è questo un approccio che nella formazione italiana non c’è mai stato. Siamo cresciuti con un sistema formativo che non dà la possibilità a ciascuno di capire qual è il proprio talento e di esprimerlo. Il leader, poi, dovrebbe essere un coach, una guida che possa comprendere chi ha davanti, quali sono le persone che ha nel proprio team per poi collocarle in modo che possano esprimersi al meglio. Quante volte, anche in hotel, abbiamo risorse che messe a svolgere certi ruoli non riescono a esprimersi semplicemente perché non hanno la propensione a svolgere quella mansione e nessuno glielo dice? Quando, invece, basterebbe fermarsi e provare a capire qual è il talento nascosto di quella persona, che andrebbe ascoltata e aiutata a esprimersi. È una questione di cura e attenzione all’essere umano e ai suoi comportamenti anche perché, in una realtà aziendale, i risultati sono le persone che li portano. Il buon leader non è altro che un “allenatore” che guida la persone a esprimersi nel migliore dei modi.

D. È un po’ il cuore del suo nuovo progetto. Di cosa si tratta?
R. Potremmo definire la Sensory Academy Management la prima accademia sensoriale che punta a sviluppare le abilità che permettono di ambire all’eccellenza. È un progetto che nasce dai miei studi di programmazione neurolinguistica e dalla volontà di trovare una soluzione al costante turn over in hotel. Non mi capacitavo del perché, anche prima del Covid, si facesse così fatica a trovare personale. E da un’intuizione: ogni persona ha un canale preferenziale nell’apprendimento, c’è chi apprende in maniera visiva, chi in maniera auditiva, chi in maniera cinestetica. Con l’Academy proponiamo un metodo di formazione che, attraverso l’attivazione dei sensi, punta a potenziare tutto l’aspetto non tangibile delle competenze e arricchisce le soft skills.

D. Una nuova sfida certamente. Ma le manca l’operatività in hotel?
R. Quando ero direttore, ho fatto quello che ho sempre amato, con un approccio diverso che è quello che ora cerco di diffondere con l’Academy. Mi manca perché vedere i risultati di chi lavorava con me era anche il mio risultato. Ma io non ho chiuso completamente la porta al mondo degli alberghi. Mi sono concentrata sul creare questa formazione, che ha richiesto molta energia, ma se dovesse arrivare una proposta di una realtà che sposi questo metodo, non è detto che non rientri. Chiaramente, con un approccio molto diverso da quello che molte realtà alberghiere continuano a cercare ancora oggi: quello del direttore come mero esecutore. Ma per me oggi, se le tradizionali attività manageriali in hotel non sono accompagnate da nuove abilità, non valgono niente.

Imparare attraverso i sensi

Sei incontri, in programma da ottobre a dicembre a Milano, che faranno focus su produttività, leadership, comunicazione, stile, abilità e negoziazione. Con un approccio nuovo, tutto basato sul formazione sensoriale. È al via in questi giorni la prima edizione della Sensory Academy Management fondata da Sara Abdel Masih. Il corso, che nasce dalle suggestioni del mondo dell’hospitality di lusso ma è pensato per tutti i settori di attività, è rivolto a chi vuole perfezionare il proprio profilo professionale, chi vuole coltivare gli aspetti apparentemente meno visibili della propria eccellenza, a chi vuole arricchire il cv con un’esperienza inedita e a chi vuole rimettersi in gioco nella propria professione. Con la partecipazione di ospiti che porteranno la propria testimonianza, il corso propone un metodo basato su attività esperienziali e sensoriali che facilitano l’apprendimento dei temi trattati. A conclusione del percorso, secondo l’approccio proprio della programmazione neurolinguistica, è previsto un momento sensoriale immersivo all’interno di una Sensory Room Experience per permettere l’ancoraggio dei concetti appresi in modo da facilitarne l’interiorizzazione e renderli adattabili a ogni contesto.

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