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Terme: una questione aperta

Un settore dalle grandi potenzialità che stenta però a tornare a volare: comunicazione carente e mancanza di un progetto condiviso tra gli ostacoli che ne impediscono il rilancio

Un settore dalle grandi potenzialità che stenta però a tornare a volare: comunicazione carente e mancanza d

Di Massimiliano Sarti, 5 Ottobre 2017

Le potenzialità sono lì da vedere: destinazioni di qualità, dotate di grandi attrattive culturali e naturali, arricchite da acque speciali, in grado di apportare benefici notevoli al benessere psico-fisico delle persone. È un settore, quello termale, che in Italia conta oggi 384 imprese distribuite in 19 regioni e 190 comuni, in grado di occupare circa 65 mila addetti (tra diretti e indiretti), per un fatturato annuo totale di 1,5 miliardi di euro, indotto compreso. Le località termali rappresentano insomma un “asset” rilevante per il sistema turistico e paesaggistico nazionale (pari a circa il 5% dell’industria dei viaggi e dell’ospitalità tricolore), oltre che una risorsa fondamentale a disposizione del Servizio sanitario nazionale. Eppure qualcosa ancora non va. Le eccellenze, va detto, esistono, ma complessivamente, nell’estate dei record per il turismo italiano, le prime stime elaborate da Assoturismo sul trimestre giugno-agosto vedono le terme unico segmento a registrare un trend negativo: -0,8% di presenze totali, a seguito di un calo dell’1,1% della domanda domestica e dello 0,6% di quella internazionale. Tutto ciò mentre l’industria dei viaggi e dell’ospitalità tricolore presa nel suo insieme fa segnare un +3,7% dei pernottamenti complessivi.
E fino a poco tempo fa andava persino peggio, a sentire le parole pronunciate ad Hub Turismo, Terme & Benessere, da Aldo Ferruzzi: «Tra il 2008 e il 2013 abbiamo vissuto una crisi profonda», con una contrazione del fatturato per le cure di quasi il 20%. Da lì in avanti le cose però sono tornate fortunatamente a migliorare, ha aggiunto il vicepresidente di Federterme all’evento milanese organizzato da Rete System. E sta cambiando pure la clientela, con molte destinazioni che oggi registrano numeri crescenti di ospiti under 60.
A monte rimane tuttavia quello che Massimo Tedeschi, in rappresentanza dell’Associazione nazionale dei comuni termali (Ancot), definisce il bipolarismo di fondo tra le due anime del settore: da una parte i fautori della funzione curativa delle acque, con i relativi criteri e protocolli stringenti; e dall’altra il partito del benessere, inteso come momento di relax e riposo dedicato a se stessi. «Una divisione forse più concettuale che pratica, ma capace di porre un freno allo sviluppo del termalismo». Quale la strada allora da intraprendere? «Ovviamente quella della cooperazione», è stata la risposta dello stesso Tedeschi. «I più avveduti, in campo sia pubblico, sia privato, lo stanno già facendo».
Ma carenze esistono anche nelle strategie di comunicazione. Se persino un personaggio quale il presidente della task force wellness di Four Seasons, Michael Newcombe, intervistato recentemente da Job in Tourism (sul numero dello scorso 13 luglio, ndr), sostiene che il futuro del benessere è nelle medical spa, è evidente come una delle chiavi di volta stia proprio nel presentare con chiarezza il valore delle acque termali. Oggi invece la denominazione centro benessere si applica a qualsivoglia attività di cura estetica del corpo e riguarda un’eterogenea platea di imprese: centri estetici, palestre, ambulatori con trattamenti di medicina naturale, studi per terapie con apparecchi elettromedicali e persino attività che offrono servizi di abbronzatura… L’obiettivo, condiviso da Tedeschi e Ferruzzi, è ripensare la terminologia, terme, spa e centri benessere, analizzando il significato che queste definizioni hanno oggi nella percezione comune e interrogandosi sull’impatto che esse hanno sull’utente finale.
Ma bisogna fare presto. Perché, nel frattempo, il Sistema sanitario nazionale, come è noto, ha diminuito fortemente il sostegno alle cure termali (oggi vi dedica circa 113 milioni di euro all’anno), mentre la comunità scientifica, seppur con qualche recente passo in avanti, stenta a riconoscerne i benefici. Contemporaneamente, parte del settore non vuole affrontare pienamente il percorso di trasformazione verso un’offerta maggiormente declinata sulle esigenze del wellness. Si è in mezzo al guado e così molti, troppi stabilimenti storici chiudono, come ha ammesso lo stesso Ferruzzi, con pesanti ricadute su occupazione e sviluppo dei territori relativi.
Per risolvere la questione, qualche suggerimento potrebbe allora arrivare dall’esempio virtuoso della vicina Slovenia, che delle terme ha fatto una componente importante della propria offerta turistica. E ciò grazie a strategie di comunicazione ad hoc, ha spiegato il neodirettore dell’Ente nazionale per il turismo in Italia, Aljoša Ota: iniziative che hanno permesso alle varie località di specializzarsi in proposte rivolte a target specifici, come le famiglie o le coppie giovani, al contempo legando il prodotto terme al resto dell’offerta del territorio, contribuendo in questo modo anche a destagionalizzare la domanda. Certo la Slovenia è una destinazione “nuova” e i suoi stabilimenti sono stati realizzati e/o ristrutturati in tempi recenti, seguendo concetti di design più vicini alla sensibilità contemporanea. Ma nulla vieta che qualcosa di simile si possa fare pure in Italia. Magari a partire da una differenziazione basata in primis sulla qualità delle acque, che non sono tutte uguali, ma posseggono ciascuna delle proprietà specifiche. Altrimenti si finisce per fare un po’ di tutto ma nulla veramente bene, ha fatto notare Ferruzzi.
Forse sarebbe persino auspicabile emanciparsi definitivamente dal sostegno assistenzialista dell’Ssn, è stata la provocazione finale di Tedeschi. Con un cambio decisivo di mentalità e cultura, ci si potrebbe richiamare alla direttiva europea del 2011 sull’assistenza sanitaria transfrontaliera, per chiedere allo Stato un contributo utile, questo sì, a sostenere le nostre imprese nelle ristrutturazioni necessarie a competere a livello continentale. «Perché i cameroni con 30 persone che fanno le inalazioni ricordano tanto la Russia sovietica…». Ma la norma fino a oggi è stata molto osteggiata dal comparto, trovando così scarsissima applicazione, nonostante sia stata a suo tempo recepita, in linea generale, dal nostro ordinamento nazionale. L’impressione è che ci sia paura di perdere i clienti italiani, attratti dall’offerta estera. «E invece io sono convinto che possa accadere esattamente il contrario, soprattutto se si sarà in grado di legare meglio la proposta termale all’offerta del territorio, in special modo quella culturale di cui tanto sono ricche le nostre destinazioni», ha concluso Tedeschi.
Scontata la replica di Ferruzzi, che si è detto per niente timoroso della concorrenza. Il problema, semmai, sarebbe un altro: la norma in questione presuppone la reciprocità di condizione, ma a livello europeo manca l’armonizzazione delle forme di assistenza sanitaria nazionale. «La nostra è un’isola felice», ha dichiarato il vicepresidente di Federterme. Situazioni simili si riscontrerebbero solo in Ungheria e in parte in Austria. La Francia, per contro, prevede qualche forma di sovvenzione, ma solo per persone in età avanzata… Senza armonizzazione, è l’opinione dei termalisti, la direttiva potrebbe avere un effetto boomerang.
Nel frattempo, in Parlamento giace una nuova proposta di legge per il rilancio del settore, che prevede tra le altre cose la dotazione di un fondo da 20 milioni di euro per la riqualificazione del patrimonio termale, la tutela del termine «termale», riservato alle aziende del settore e alle prestazioni da esse erogate, nonché incentivi e agevolazioni mirate alla realizzazione di politiche virtuose di privatizzazione del patrimonio immobiliare pubblico. Un’altra via di sviluppo che però difficilmente, ha sottolineato ancora Ferruzzi, vedrà la luce prima della fine della presente legislatura.

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