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Soluzioni per l’outsourcing

Di Massimiliano Noia avvocato esperto diritt, 16 Febbraio 2001

Diversi imprenditori, appartenenti al settore turistico e non, hanno richiesto informazioni sul contratto di “outsourcing”, da più parti indicato come la realizzazione dei propri sogni di decentramento delle problematiche aziendali a favore di migliori assetti economici. In realtà tale “nuova” formula contrattuale, spogliata del fascino del termine anglosassone, ha moltissime analogie con il già noto contratto di appalto cui, per necessità interpretativa ed applicativa, dobbiamo rifarci per comprenderne pregi e limiti. Con il contratto di appalto, nonché con quello di outsourcing, sostanzialmente un soggetto incarica un terzo di eseguire un’opera o un servizio a fronte di un certo corrispettivo, delegando il rischio d’impresa connesso all’oggetto del contratto. Nella realtà imprenditoriale il ricorso ai contratti di appalto è talmente frequente che spesso neppure prestiamo attenzione alla sua forma, ma comunque ne concludiamo: dall’incarico di imbiancare l’ufficio, alla sua pulizia quotidiana tramite una ditta. Il contratto di outsourcing, o di appalto di servizi, viene invece utilizzato quando l’imprenditore delega attività che rientrano nel proprio normale esercizio dell’impresa, confidando in una prestazione più accurata ed in un vantaggio economico. Uno dei più importanti limiti di tali formule contrattuali è costituito dalla L. 1369/1960, sul divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro. Tale legge sostanzialmente proibisce all’imprenditore di avvalersi di intermediari cui affidare l’esecuzione di opere e servizi attinenti al normale ciclo produttivo dell’impresa, principalmente per prevenire l’elusione del complesso di norme a tutela dei diritti dei lavoratori, tra cui il diritto alla retribuzione e contribuzione. In sostanza, se l’imprenditore incarica un terzo in modo improprio, sia con outsourcing che con appalto che con qualsiasi altro contratto, ad eseguire attività che avrebbe normalmente svolto, l’applicazione della legge può comunque rimettergli la stessa responsabilità che avrebbe avuto assumendo direttamente il personale necessario all’opera. Primo criterio distintivo cui prestare attenzione è dunque l’appartenenza o l’estraneità dell’attività delegata al proprio ciclo produttivo. Ma come individuare esattamente il ciclo produttivo al fine di escludere una determinata attività? Poniamo un esempio di consueta applicazione: la maggior parte delle aziende incarica un’impresa di pulire gli uffici quotidianamente. Un tour operator o un’agenzia di viaggi difficilmente assumerebbe del personale per eseguire tali operazioni, mentre lo potrebbe fare un albergo. E’ facile sostenere che la pulizia dell’ufficio non riguardi l’attività produttiva dell’impresa di viaggi, ma una serie di norme impone comunque di mantenere salubre ed igienico l’ambiente di lavoro. Ipotizziamo che l’impresa di pulizia (e nessuno me ne voglia), per proprio scopo di lucro illecito, non abbia regolarmente assunto i propri dipendenti. Sono così certo di potermi difendere a spada tratta dall’eventuale accusa di divieto di intermediazione di manodopera? E sono sicuramente così differenti le posizioni dell’albergatore e quella dell’agente di viaggi? Tra i poteri/doveri dell’appaltante, ai fini della L 1369/1960, troviamo la verifica della regolare assunzione, o comunque del rapporto di lavoro in corso tra l’appaltatore ed i propri collaboratori. Ma come posso verificare la corrispondenza tra le persone assunte e quelle che davvero puliscono gli uffici, se le operazioni avvengono dopo la chiusura? E’ necessario impostare alcune premesse. In primo luogo dovrò accertare che l’appaltatore/outsourcer sia un imprenditore e comunque una persona fisica, meglio se giuridica, dotata di tutti requisiti di legge per eseguire le prestazioni che intendo affidargli. In secondo luogo, dovrò assicurarmi che l’incaricato abbia la necessaria organizzazione di mezzi per eseguire in proprio, e con la totale autonomia, le prestazioni in oggetto. Per l’impresa di pulizia saranno necessari i prodotti, le divise e gli attrezzi di lavoro; da un’agenzia di animazione mi aspetto che possieda i costumi di scena per gli spettacoli, etc.. Dovrò poi accertarmi che siano rispettate le principali norme di sicurezza sul lavoro, dall’individuazione del responsabile, alla formazione, al possesso dei dpi, alla visita del medico competente se previsto, etc.. Le eventuali contestazioni all’opera saranno inadempimenti al contratto da eccepire all’appaltatore, e mai direttamente ai suoi collaboratori con cui non ho rapporto diretto. Non dimentichiamo che il corrispettivo del contratto dovrà essere equo. Abbiamo premesso che il ricorso agli strumenti contrattuali in esame ha il limite di non eludere i diritti dei lavoratori. La tentazione di ridurre il corrispettivo all’osso per la prestazione altrui è sicuramente forte, ma se questo è diventato talmente esiguo che sicuramente l’appaltatore non potrà pagare i propri collaboratori, allora, forse, mi sto comunque mettendo nei guai. Ecco il principio che dovrei seguire: non illudermi che delegando ad un altro soggetto il problema, possa considerarlo davvero risolto, poiché potrebbe tornare come un boomerang. Ma quale corrispettivo potrà definirsi equilibrato ed in misura sufficiente a non precludermi la difesa da chi mi potrebbe accusarmi di elusione della legge? Certo non mi pongo il problema della fattura quando mi rivolgo all’idraulico per un singolo intervento, poiché questi saprà ben farsi i propri conti. Ma posso realmente sostenere la medesima tesi quando concedo in appalto la gestione del servizio di animazione ben sapendo quali costi dovrà sostenere l’appaltatore? D’altro canto, se il corrispettivo è comunque troppo esiguo, forse l’appaltatore sarà adempiente agli obblighi verso i propri collaboratori, ma mi procurerà talmente tanti guai per aver reso un servizio inadeguato, da indurmi a profonde riflessioni di opportunità. Qualcuno pensa che in un contratto il buon affare venga concluso solo da una parte. In questo settore, l’insoddisfazione del cliente a causa dell’inadempimento del mio terzo fornitore di servizio, difficilmente però potrà essere completamente risarcita. Con questo genere di contratti forse sarebbe più opportuno che le parti abbiano e mantengano uno spirito collaborativo, pur sempre nel rispetto delle proprie economie, anziché porsi l’unico obiettivo di essere quelli che faranno l’affare. Certo tutto si fa più interessante e difficile quando appaltiamo un centro di ricavi anziché un centro di costi, ma avremo modo di parlarne nei prossimi interventi. E’ opportuno precisare che negli esempi di cui si tratta nel presente intervento sono escluse le fattispecie previste e disciplinate dalla legge sulla subfornitura, poiché diverse nell’oggetto, nei requisiti e nei diritti delle parti.

Avvocato Massimiliano di Noia tel 02 780065 fax 02 782696 e-mail info@dinoia.org

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