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Settimana corta in hotel: miraggio o possibilità?

Gli italiani si dicono sempre più favorevoli a una sua introduzione, ma è fattibile pensare a una settimana di soli 4 giorni lavorativi anche in albergo? Ecco cosa ne pensano general manager e CEO

Gli italiani si dicono sempre più favorevoli a una sua introduzione, ma è fattibile pensare a una settimana

Di Silvia De Bernardin, 6 Aprile 2023

Nel Regno Unito l’hanno sperimentata nei mesi scorsi e pare essere stata un successo. In Italia se ne parla da tempo e diverse aziende di vari settori la stanno testando come strumento per far leva sull’engagement dei dipendenti, in un momento certamente complesso sia per l’attraction che per la retention dei talenti. La settimana lavorativa corta di quattro giorni, da mero sogno di molti, sempre più sta prendendo i contorni di un’ipotesi di riorganizzazione sulla quale ragionare in maniera concreta per provare a dare una risposta a quel bisogno di riequilibrio dei tempi della vita che la pandemia ha sollecitato, provocando grandi scossoni nel mondo del lavoro.
Ma sarebbe, la settimana corta, applicabile nel settore alberghiero? Potrebbe essere una via percorribile anche dagli hotel per tornare a essere attrattivi verso il personale, soprattutto nei confronti delle risorse più giovani? I general manager degli alberghi italiani, con sfumature di pensiero diverse, hanno le idee chiare sul tema, soprattutto in relazione alle implicazioni di carattere organizzativo ed economico che una revisione in tal senso comporterebbe, come raccontiamo in questo articolo di approfondimento tratto dall’ultimo numero del magazine di “Job in Tourism” che potete leggere qui.

La difficoltà a reperire personale

“È evidente che, soprattutto dopo il lungo periodo della pandemia, le difficoltà nel reperire personale convinto ed entusiasta di intraprendere la carriera alberghiera sono aumentate. Certamente – è l’analisi di partenza di Claudio Ceccherelli, CEO di Shedir Collection – il dover lavorare durante il week end, nei giorni festivi e con il doppio turno ha ulteriormente accentuato queste difficoltà. Pensare di distribuire l’orario di lavoro in 6 giorni è sempre più difficile, per questo le aziende che lo applicano avranno sempre più problemi a reperire collaboratori”. D’altra parte – ed è questo uno dei nodi principali – “è evidente che un’ulteriore riduzione dei giorni lavorati a 4, e difficilmente con una riduzione in percentuale dello stipendio, avrebbe un impatto negativo sulla redditività dell’azienda, in special modo nella ristorazione”.

Il nodo dei costi

Prima di tutto è, infatti, una questione di conti economici, che riguardano sia il costo del lavoro dei singoli che quello totale, per il maggior numero di risorse che servirebbero per far funzionare la “macchina” hotel a fronte della nuova organizzazione: “Orari di lavoro ridotti implicano un maggiore numero di unità lavorative per coprire i turni e di conseguenza un maggior dispendio di energie nel formare più risorse per espletare il daily duty, in particolar modo in reparti operativi come il front of the house, l’f&b o la SPA”, spiega Giuseppe Mariano, General Manager di Vestas Hotels&Resorts. “Naturalmente i costi sarebbero maggiori, con una variazione in percentuale diversa da reparto a reparto e a seconda delle competenze coinvolte. Se teniamo in considerazione – calcola il direttore – che in una struttura ricettiva 4/5 stelle il payroll cost incide, mediamente, dal 35% al 40 %, in caso di una riduzione dell’orario di lavoro a 4 giorni vi potrebbe essere un’aumento per le singole aziende pari al 5% su quello attuale”.

Lavorare meno, lavorare meglio

Anche Ivan Artolli, Managing Director dell’Hôtel de Paris Monte-Carlo, parla di un +15% totale sui costi del personale. Nel Principato di Monaco – racconta – è già applicata la settimana lavorativa di 5 giorni “con i vantaggi che ne conseguono per i nostri collaboratori. In effetti, poter beneficiare di due giorni interi e consecutivi di riposo permette al nostro team di non accumulare fatica durante la stagione estiva particolarmente impegnativa. Come provato in altri settori con una più alta profittabilità oppure in altri Paesi con un più basso livello di tassazione, dove una riduzione della settimana a 4 giorni lavorativi è stata attuata, ci sono stati evidenti benefici sia per i lavoratori che per gli ospiti. Ottimizzare il rapporto tra lavoro e vita privata – evidenzia il manager – ha sempre portato benefici sia al lavoratore che alla qualità del lavoro che viene eseguito”.
Questo è uno dei risvolti del tema sul quale i general manager si trovano sostanzialmente d’accordo: lavorare con ritmi che permettano una maggior conciliazione con la vita privata può avere effetti positivi non solamente sulla soddisfazione del collaboratore, ma anche sulla guest experience. “Anche il cliente – ci dice Eugenia Gallina, CEO di JHD Dunant Hotel – ne beneficerebbe. Personale più soddisfatto e riposato riuscirebbe a seguire meglio l’ospite nelle sue esigenze”. Secondo Gallina, inoltre, “dal punto di vista organizzativo la settimana corta potrebbe portare ad alcune semplificazioni e sicuramente a una organizzazione più facile delle turnazioni. Inoltre – sottolinea – uno staff più corposo potrebbe sopperire meglio a eventuali richieste di permessi o malattie, con la possibilità di mantenere un alto standard di servizio”.

Una soluzione non per tutte le mansioni

Tuttavia, non si tratta di una soluzione percorribile indistintamente per tutte le figure operative in albergo. “Una revisione degli orari di lavoro nelle strutture ricettive per arrivare alla cosiddetta ‘settimana corta’ potrebbe essere praticabile, ma con dei distinguo”, analizza Angelo Bellanova, General Manager del gruppo Pistore Hotels, che parla di un approccio “sicuramente sostenibile perché andrebbe a creare le condizioni sociali tanto indispensabili per una nuova società fondata sulla famiglia e altri tipi di organizzazioni che rivalutano le persone”. I distinguo riguardano, piuttosto, le mansioni svolte: “Il direttore, i capi servizi e figure di un certo tipo di responsabilità sicuramente non potrebbero godere di questo cambiamento, epocale se applicato, perché è necessaria una certa continuità concettuale del loro lavoro che altrimenti andrebbe incontro a incongruenze. Gli addetti al rifacimento delle camere, i camerieri di sala, i facchini, i manutentori, gli addetti alle pulizie in generale, invece, sono tutte figure che si prestano molto bene alla revisione della settimana corta”.
Un altro settore sensibile potrebbe essere quello della ristorazione d’hotel, nel quale trovare il giusto equilibrio tra organizzazione del personale, costi e tariffe potrebbe non essere semplice, come evidenzia Ceccherelli: “I margini di profittabilità, soprattutto nella ristorazione, sarebbero in diminuzione. Eventuali conseguenze – evidenzia il CEO di Shedir Collection – legate all’introduzione della settimana corta potrebbero verificarsi principalmente proprio nell’offerta ristorativa perché la maggioranza degli alberghi potrebbe essere costretta alla revisione di orari e offerta”.

Il supporto istituzionale

Un altro punto sul quale i direttori d’albergo concordano è che un’eventuale modifica degli assetti organizzativi non sarebbe attuabile senza un vigoroso supporto da parte delle istituzioni che, per esempio, spiega Mariano, vada nella direzione di “una maggiore flessibilità legislativa a favore delle aziende nell’attuare il piano del lavoro, con la possibilità di pianificare l’orario spezzato e non continuativo, ove possibile, e di interventi sulla riduzione delle aliquote Irpef applicate ai salari contrattuali e di conseguenza sul costo del lavoro”.

Le criticità

Chi si dice piuttosto scettico sulla percorribilità di questa strada è Damiano De Crescenzo, Direttore generale di Planetaria Hotels, che sottolinea un aspetto che ha a che fare con una modalità tutta “italiana” di vivere il lavoro: “I costi sarebbero senz’altro maggiori anche se non è questo il punto più critico. Aggiungo – ipotizza De Crescenzo – che una parte di queste persone, soprattutto nella ristorazione, utilizzerebbero la giornata in più di riposo per servizi extra presso altre aziende, talvolta non perfettamente regolari”. Quello che sarebbe auspicabile piuttosto, secondo il dg di Planetaria, è una revisione del Contratto Collettivo Nazionale. “Quanti sanno che una persona che lavora con il CCNL degli alberghi in teoria dovrebbe lavorare ‘solamente’ 220 giorni in un anno? E quanti dipendenti del settore riescono a godere tutte le circa 7 settimane di ferie e permessi più tutte festività e riposi? E quanti rifiutano di godere tutto il monte ore di permessi e giorn di ferie a disposizione in un anno? Al di la di ogni fantasia – sostiene De Crescenzo – probabilmente ciò che serve è esattamente l’opposto, ovvero rivedere il contratto e inserire in busta paga tutte le giornate che la stragrande maggioranza dei lavoratori vorrebbe che fossero pagate piuttosto che godute. In questo modo si avrebbe anche una più corretta percezione del salario reale, anche in raffronto ad altre realtà produttive”.

L’appeal che manca

Una posizione che fa emergere uno degli aspetti di fondo dell’attuale difficoltà degli alberghi a reperire personale, che ha a che fare con l’organizzazione del lavoro, ma anche con l’adeguatezza degli stipendi e, più in generale, con l’appeal pubblico delle professioni dell’hospitality. È per questo che i direttori d’albergo non hanno dubbi su un punto fondamentale: l’eventuale revisione di orari e turni potrebbe costituire solamente una parte della soluzione al problema. Una sorta di “leva di marketing per attrarre personale sul breve tempo”, dice Gallina, più favorevole, sul lungo periodo, a una soluzione articolata che “valorizzi le competenze, aumenti la formazione e cambi la narrazione del lavoro, andando a evidenziare gli aspetti unici e di soddisfazione che questo lavoro può dare”. Come ci dice, in chiusura, anche Mariano “Per far tornare nuovamente attrattivo il lavoro nell’ospitalità bisogna soprattutto valorizzare la professione dell’hotelier come autentico professionista, offrendo le dovute garanzie per la propria qualità di vita, in modo che la percezione dell’opinione pubblica verso queste figure professionali sia la stessa di altre attività. E non – chiosa il General Manager di Vestas Hotels&Resorts – come accade ancora adesso, che venga percepita come legata a un lavoro poco gratificante. La revisione dei turni di lavoro, con i dovuti adeguamenti salariali e il riconoscimento e la gratificazione possono costituire una leva importante affinché ciò avvenga nel prossimo futuro”.

Soluzioni ibride

Quello che, nel frattempo, molti alberghi stanno già facendo è lavorare su soluzioni ibride, che vadano incontro ai nuovi bisogni di conciliazione espressi dalle persone, dallo smart working per gli amministrativi e per le figure di coordinamento, marketing e sales al potenziamento del welfare aziendale fino all’offerta di programmi di incentivazione e formazione. Mentre la porta alla “settimana corta” rimane aperta.

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