Job In Tourism > News > Risorse umane > Se la profezia si autoadempie

Se la profezia si autoadempie

L´effetto Pigmalione condiziona il rendimento dei soggetti

L´effetto Pigmalione condiziona il rendimento dei soggetti

Di Silvia Moretti, 10 Febbraio 2012

Un mito greco, quello di Pigmalione, raccontato nell´opera teatrale omonima di George Bernard Shaw (1914), narra di un insegnante che addestra una fioraia, di umili origini e priva di cultura e di educazione, ai modi garbati ed elevati della classe abbiente. In uno degli episodi più significativi della commedia, si delinea, tra l´altro, l´importante ruolo dell´aspettativa profetica: in un’occasione mondana, la ragazza viene scambiata davvero per una gran dama, significando con ciò che la differenza tra una gentildonna e una fioraia non consiste tanto nel modo in cui ci si comporta, quanto piuttosto nel modo in cui si è trattati.
E L´effetto Pigmalione (Lenore Jacobson e Robert Rosenthal, 1968) descrive proprio questo fenomeno psicologico della profezia che si autoadempie: i due ricercatori Jacobson e Rosenthal sottoposero infatti, in una loro indagine, un gruppo di alunni di una scuola elementare californiana a un test di intelligenza; successivamente selezionarono, in modo casuale e senza rispettare l´esito e la graduatoria del test, un numero ristretto di bambini e informarono gli insegnanti che si trattava di alunni molto intelligenti. Dopo un anno, ripassarono nella scuola e verificarono che gli studenti selezionati, seppur scelti casualmente, avevano confermato appieno le previsioni, migliorando notevolmente il proprio rendimento scolastico fino a divenire i migliori della classe. Questo grazie all´influenza positiva degli insegnanti, che riuscirono a stimolare negli alunni segnalati una viva passione e un forte interesse per gli studi. Analogamente, se gli insegnanti credono che uno studente sia meno dotato, generalmente lo trattano, anche inconsciamente, in modo diverso dagli altri: lo studente interiorizza così il giudizio e si comporta di conseguenza, instaurando un circolo vizioso per cui il discente tende a divenire, nel tempo, proprio come il docente lo aveva immaginato.
L´effetto Pigmalione non si manifesta, però, soltanto in ambito scolastico, bensì anche in altri contesti, in primis quello lavorativo, condizionando in questo modo la qualità delle relazioni interpersonali e il rendimento dei soggetti: se il manager non pensa ai propri collaboratori in termini di potenziale, le loro prestazioni rifletteranno la sua convinzione. Ma come essere sicuri che ci sia del potenziale inespresso oltre la prestazione? A questo proposito, basti osservare che le persone superano quasi sempre le proprie aspettative, e quelle degli altri, quando si verifica una situazione di crisi: il potenziale c’è, la crisi non fa altro che catalizzarlo. Tuttavia, per fortuna, la crisi non è l’unico catalizzatore. È perciò importante che i manager riconoscano il potenziale di ciascuno dei propri collaboratori e li trattino di conseguenza. Ed è ancor più importante che ognuno riconosca il proprio potenziale.
Si ritiene, infatti, che il potenziale si riveli sul luogo del lavoro nella percentuale media del 40%, mentre il restante 60% verrebbe impedito da blocchi esterni e interni (John Whitmore, Coaching, 2003). I blocchi esterni più citati, in particolare, sarebbero legati alle strutture e alle pratiche restrittive della propria azienda, alla mancanza di incoraggiamento e di opportunità, nonché allo stile di management prevalente. L’unico blocco interno identificato, invece, ha invariabilmente sempre la stessa matrice, sebbene venga descritto in vari modi: paura del fallimento, dubbi sulle proprie capacità, mancanza di fiducia in se stessi.
A conferma di ciò ci sono anche le opere di Tim Gallwey, padre di una delle prime teorie di coaching multidisciplinare, la cosiddetta Inner game, che a partire dagli anni 1970 ha prodotto una serie di bestseller per lo sviluppo dell´eccellenza personale e professionale in una varietà di campi. Così, nel libro The inner game of tennis, dove inner indica lo stato interiore del tennista, scrive: «Il rivale che si ha dentro la propria testa è più spaventoso di quello che si trova dall’altra parte della rete». Insomma, il blocco interno, di cui sopra, concettualizzato da Gallwey anche in The inner game of work.
La domanda di questo numero, perciò, è: come accedere al potenziale, proprio e altrui?

Per le vostre domande: silvia.moretti@ymail.com

Comments are closed

  • Categorie

  • Tag

Articoli Correlati