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Roberta Boggian, come si diventa housekeeping manager

La responsabile dell'housekeeping del gruppo Starhotels racconta il suo percorso professionale, iniziato nel baretto sotto casa, cresciuto con una grande passione per l'f&b e segnato dalla volontà di mettersi continuamente in gioco

La responsabile dell'housekeeping del gruppo Starhotels racconta il suo percorso professionale, iniziato nel

Di Silvia De Bernardin, 17 Luglio 2023

Il primo lavoro nel baretto sotto casa in un paesino del padovano per pagarsi gli studi universitari e la passione di chi “ha l’f&b inside”. La qualifica da sommelier e le specializzazioni in hotel management. La Venezia dei grandi nomi dell’ospitalità di lusso e la mindfulness. Roberta Boggian vanta un lungo curriculum nel mondo alberghiero italiano, con la Laguna a fare da centro di gravità insieme alla voglia costante di mettersi in gioco che l’ha spinta nel tempo ad alzare sempre più l’asticella della sfida professionale con sé stessa. Dallo scorso anno è l’Executive Housekeeping Manager di Starhotels e dalla direzione operativa di Firenze segue i progetti di implementazione degli standard delle strutture del gruppo in attesa di ricoprire il ruolo di Housekeeping Manager dello storico Hotel Gabrielli, il 5 stelle veneziano la cui riapertura sotto le insegne Starhotels è prevista per il prossimo anno in Riva degli Schiavoni.

Ma cosa ci fa una sommelier con una solida esperienza nel food&beverage a capo dell’housekeeping di uno dei più principali gruppi alberghieri italiani? Glielo abbiamo chiesto in questa intervista nella quale ci ha raccontato la sua visione del lavoro in hotel, fatta di empatia, ascolto e di una giusta dose di centratura su stessi, necessaria a rimanere focalizzati in un lavoro ad alto tasso di stress.

Il suo è un percorso professionale fatto di tanti cambiamenti. Come è andata?

Ho iniziato nel baretto sotto casa per pagarmi gli studi – mi sono laureata in Lingue e Culture per il Management turistico presso l’Università di Verona. Poi, tramite un’amica ho avuto la possibilità di trasferirmi a Venezia dove ho iniziato a lavorare prima al St. Regis e poi al Gritti Palace. All’inizio non è stato facile, Venezia non è una città facile. Poi è arrivata l’occasione dell’Hotel Aman Venice, una nuova apertura che a suo tempo ha scompigliato tutti i piani della classica hôtellerie veneziana: mi sono fermata dieci anni. È stata una delle più grandi palestre professionali e personali della mia vita. Lavoravo nell’f&b, prima alle colazioni, poi chef de rang, infine supervisor e maitre del ristorante. Intanto, ho continuato a studiare, sono diventata sommelier, ho fatto master in Hotel e F&B Management. Un giorno si è liberato il posto da responsabile housekeeping e il direttore mi ha chiesto se volevo occuparmene io.

E ha accettato.

Mi sono detta: “Perché no?”. Io sono una con “l’f&b inside”, poteva sembrare una follia lasciare un reparto che sentivo profondamente mio. In effetti, è stato un cambiamento “terribile” alle prime battute, ho dovuto fare una forzatura su me stessa, ma da troppo tempo ero nella mia comfort zone e non mi bastava più per crescere sia professionalmente che sul piano personale. Volevo vedere quali fossero i miei limiti e imparare cose nuove sulla gestione di un nuovo reparto dell’albergo.

La parte più difficile qual è stata?

Quella relativa alla gestione dei collaboratori, che è sempre la parte più complicata quando si assume un ruolo manageriale. Ho fatto dei corsi HR per capire come fosse meglio rapportarmi ma poi ho capito che la soluzione migliore era essere me stessa e portare la visione di leadership che è dentro di me. 

E poi è arrivato Starhotels.

Dopo due anni, ho sentito che era di nuovo il momento di cambiare. Starhotels è un brand italiano, con una fortissima matrice femminile. Questo mi è piaciuto moltissimo ed è stata una delle spinte maggiori. 

In effetti, Starhotels ha appena fatto diverse nomine di vertice al femminile. C’è un problema di rappresentanza di genere nell’ospitalità?

Sarebbe una menzogna dire che non c’è disparità, c’è e si vede ogni giorno. Bastava vedere nelle posizioni di vertice quante poche donne ci siano. Spesso si pensa che una donna non sia in grado. Ci si dimentica che c’è un’intelligenza diversa – intuitiva, tipicamente femminile – che invece spesso è quella che serve per prendere decisioni più veloci. La tenacia e l’empatia che ha una donna sono difficili da trovare in un uomo. E sono doti che si sposano molto bene con i nuovi modelli di leadership gentile di oggi.

A proposito di soft skills, quali sono oggi quelle che servono nel suo lavoro?

Sicuramente la resilienza, necessaria in un mondo come l’hôtellerie nel quale siamo bombardati quotidianamente da richieste di clienti e colleghi e da dinamiche super veloci. Poi, empatia, pazienza e la capacità di fermarsi ad ascoltare. Per me è stato fondamentale applicarmi alla mindfulness, che mi ha aiutato moltissimo a focalizzarmi sul qui e ora. 

E poi forse la spinta a uscire dalla propria comfort zone, come ha fatto lei?

Io lo consiglio vivamente. Ci vuole coraggio, io ho fatto una piccola forzatura sulla mia natura – tornando indietro forse lo farei anche prima – ma nell’hôtellerie è fondamentale confrontarsi con altre dinamiche, con realtà diverse, con metodi di formazione del persone differenti. A volte, mi domando se ho fatto bene, ma credo di aver fatto la scelta giusta. 

In questo momento sembra che nessuno – o pochi – vogliano lavorare nel turismo, perché secondo lei?

Una delle lamentele maggiori riguarda lo stipendio: non bisogna nascondersi dietro a un dito, l’Italia è uno dei Paesi che paga meno. Non è vero che non ci sono persone che non hanno voglia di lavorare, ci sono persone che hanno voglia di guadagnare il giusto, soprattutto se si parla di un lavoro nel quale si sacrificano famiglia, orari e tempo libero. Ma c’è anche da capire i piccoli imprenditori e le aziende, che non possono farsi carico di aspetti che speterebbero allo Stato. Su questi temi serve un intervento corposo della politica.

Cosa consiglierebbe a una ragazza o a un ragazzo che volesse lavorare nell’ospitalità?

Di partire dall’estero. In Italia poi si torna, qui abbiamo una delle scuole migliori per il servizio. Ma la conoscenza delle lingue straniere è fondamentale non solamente per rapportarsi con gli ospiti, ma perché il parlare una lingua diversa ti obbliga a metterti in gioco, ti accresce culturalmente, ti fa apprendere nuove sfaccettature della tua personalità. Le specializzazioni tecniche si apprendono sul campo, ma quello che serve per lavorare nell’ospitalità è prima di tutto il focus mentale. 

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