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Ritratto dell´hotelier perfetto

Identikit politicamente scorretto di un professionista dalle spiccate doti camaleontiche

Identikit politicamente scorretto di un professionista dalle spiccate doti camaleontiche

Di Claudio Nobbio, 28 Agosto 2014

La vita del direttore d’albergo ha diverse facce. Basta ascoltare le storie di ognuno. Come succede nel mio Hotel Confidential in attesa di pubblicazione (la storia di una estate a Biarritz con tutto quanto accade in hotel, davanti e dietro le quinte).
Ero intento a discutere sulle proporzioni del Martini cocktail e sulla sua storia con un mitico albergatore veneziano: Pierluigi Beggiato del Metropole (il Met ha una stella Michelin) e del Concordia.
Il Martini deve il suo nome a Carlo Martini: un barman di Arma di Taggia che lo inventò nel 1919 a New York in Times Square, nel bar di un famoso albergo che attualmente ha lasciato il posto a un Novotel: ci metteva 8 parti di Ging Gordon e 2 parti di Noilly Prat, un vermouth francese; passare nel ghiaccio e versare in bicchieri ghiacciati. Nessuna aggiunta.
Beggiato insisteva invece per metterci buccia di limone o spremerci un’oliva taggiasca (per un’oliva pallida si può delirare).
Fu così che mi venne l’idea dell’open table veneziana i Martinisti, anche se Riccardo Tomasutti, Roberto Pellegrini e altri barman e albergatori della Laguna avrebbero voluta chiamarla i Martinai o qualcosa di simile.
«Anch’io ho qualcosa da dire sulle vita dei direttori d’albergo», mi disse allora Beggiato. «Conservo uno scritto di un direttore inglese, che se vuoi te lo mando via email e pensi tu a tradurlo». «Bene, mandamelo e lo ribalterò a Job in Tourism». Eccolo:

Come essere un buon hotelier

L’albergatore perfetto dovrebbe essere al contempo un diplomatico, un democratico, un autocrate, un acrobata e uno zerbino.
Deve infatti avere la capacità di intrattenersi con primi ministri, cavalieri d’industria, borsaioli, scommettitori, bookmaker, filantropi, pirati, ragazze di facili costumi e donne bacchettone.
Dovrebbe poi sempre trovarsi da ambo le parti dello steccato politico ed essere pronto a saltare da un lato all’altro.
Dovrebbe essere, o essere stato, allo stesso tempo un giocatore di calcio, di golf, di bowling, di tennis, di cricket e di freccette, nonché un velista, un appassionato di colombi e di gare di auto, un linguista, e un profondo conoscitore di qualsiasi attività sportiva concernente dadi, carte, cavalli e bigliardi.
Particolarmente apprezzabili, in un hotelier, sono poi le abilità da boxeur, lottatore, sollevatore di pesi, velocista e mediatore, in quanto lui stesso è a volte chiamato a sedare in prima persona discussioni e litigi tra gli ospiti.
A fronte di ciò, l’albergatore ideale deve tuttavia sempre mostrarsi perfettamente pulito e in ordine quando beve qualcosa in compagnia dei signori e delle signore menzionate nel secondo paragrafo, così come in compagnia di banchieri, spacconi, teatranti, commessi viaggiatori o rappresentanti. E ciò anche se ha appena messo pace tra due, quattro, sei o anche più dei sopracitati clienti.
Per avere successo, in sintesi, un hotelier dovrebbe avere il bar, l’albergo, i magazzini e le cantine sempre piene, i clienti sempre sazi e mai riempirsi lui stesso.
Dovrebbe inoltre disporre di uno staff composto solamente da persone pulite, oneste e veloci a lavorare e a pensare: dei matematici e dei tecnici ogni volta dalla parte del datore di lavoro e dei clienti, in grado di stare sempre lontani dal bar.
Concludendo, l’albergatore ideale dovrebbe trovarsi al contempo dentro e fuori da ogni situazione, essere allo stesso tempo glorificato e crocifisso, nonché persino essere capace di mostrarsi, all’occorrenza, un po’ tonto e strabico. In pratica, fare l’hotelier, se non si appartiene alla categoria delle persone forti e silenti, prima o poi conduce sempre al suicidio.

Firmato Henry Togna, proprietario del 22 Jermyn Street (storico hotel di Londra chiuso nel 2009)

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