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Ristorazione: cosa serve per ripartire

Dalle agevolazioni fiscali per le assunzioni ai nuovi modelli per delivery e collaborazioni: a colloquio con Sonia Re, direttore generale Apci

Dalle agevolazioni fiscali per le assunzioni ai nuovi modelli per delivery e collaborazioni: a colloquio con

Di Mariangela Traficante, 28 Luglio 2020

Era aprile ed eravamo in pieno lockdown quando Apci, l’associazione professionale cuochi italiani, si era fatta portavoce del mondo della ristorazione e raccogliendo le istanze dai territori aveva lanciato una petizione, che in realtà era diventata un vero e proprio manifesto, con una serie di punti chiave indirizzati al Governo, legati sia ad azioni immediate sia alla ripartenza. Come è andata e a che punto è, oggi, la ristorazione, in questa strana e difficile estate?
”Sicuramente un primo risultato positivo è stato quello di fare rete e portare varie associazioni intorno a un tavolo”, spiega il direttore generale di Apci Sonia Re. Il manifesto aveva infatti visto il coinvolgimento di realtà come Cibo di Mezzo e Ri.Un-Ristoratori Uniti, Ampi, Anp, JRE Italia, Le Soste, Club Richemont, proprio per dare voce a tutti gli operatori del settore.

“Abbiamo avuto un primo approccio di sinergia da parte delle associazioni italiane, sono stati accantonati gli interessi e i personalismi e ci siamo uniti in una voce corale, dai cuochi ai pizzaioli ai pasticceri, c’è stata una visione ampia che ha permesso di realizzare una sintesi estrema dei reali bisogni del settore”.

E così una serie di richieste di concretezza sono state accolte, dalla cassa integrazione alla revisione delle distanze di sicurezza nei locali. “L’altro risultato è che i ministri Bellanova e Patuanelli hanno convocato un tavolo di lavoro permanente, che si è già riunito una volta e a cui siamo stati presenti, per capire quali fossero i fondamentali per la ripartenza. Perché si ha bisogno nell’immediato di misure di emergenza, ma poi la richiesta è di strumenti di lungo periodo. Penso per esempio alla questione legata alle assunzioni: chiediamo che vengano previsti dei crediti di imposta o delle agevolazioni fiscali per chi assume, che ci siano incentivi per gli imprenditori, per far girare nuovamente l’economia”.
L’obiettivo è quello di permettere agli imprenditori di poter assumere più facilmente, per non rischiare di entrare nel circolo vizioso del lavoro nero, senza tutele, ed evitare il gioco al ribasso delle retribuzioni.

Il delivery
Tra i temi che hanno subito un’accelerata in questi mesi c’è stato senza dubbio quello del delivery: “C’è stata una parziale apertura ma non così forte come mi sarei aspettata, mentre potrebbe rappresentare un modo per raggiungere gli stessi numeri di coperti che si avrebbero a spazi pieni in ristorante, e in un secondo momento, una volta cadute le restrizioni e le misure di distanza, potrebbe diventare una nuova forma di business, magari con un nome diverso. Non sono approcci così immediati, hanno bisogno di tempo, ma sono stati fatti comunque diversi passi avanti”.

L’accelerata sul digitale
Così come ne sono stati fatti sul fronte del digitale: “Noi per esempio abbiamo lanciato gli Horeca Digital Talks, è stato interessante dare un approccio ai contenuti digitali nel mondo della ristorazione, dal menù digitale alle app per creare il proprio servizio di delivery, fino alla blockchain per la sicurezza e per la certificazione dei prodotti nei confronti del cliente finale: sono tutti progetti che erano in incubazione e che sono stati accelerati. Stiamo lavorando affinché questa iniziativa possa diventare un vero e proprio spazio di formazione, perché oggi diventare imprenditori della ristorazione o chef necessita di un passo in più nell’approccio digitale”.
Fermarsi a ragionare su come implementare questi nuovi approcci, lasciar sedimentare le nuove idee per poi ripartire, è fondamentale in questo momento in cui “il 65% dei locali rischiano di chiudere, e nei casi più virtuosi si riesce a ottenere solo il 60% del fatturato di prima”. A rischio, lo sappiamo, sono soprattutto i locali delle città, che sono svuotate di turisti e anche di lavoratori negli uffici.
Se l’indotto del delivery può essere aumentato perché la gente è a casa in smart working, è anche vero che per tutti i ristoranti che vivono molto di clientela business si rischia una perdita importante per le città. “Invece dagli associati in zone turistiche arrivano notizie di ripresa, gli italiani hanno voglia di uscire, ma manca il turismo straniero, che è anche più alto spendente di quello nostrano”.

Nuovi modelli
Le misure prese per affrontare il distanziamento stanno modificando anche le abitudini in hotel: ci sono i buffet assistiti, le monoporzioni, il servizio direttamente al tavolo, ma anche lo spostamento di tanti clienti che, nei casi in cui la ristorazione in struttura possa risultare “faticosa”, preferiscono uscire e rivolgersi ai locali del territorio.
E adesso quali saranno i passi da compiere? “Serve osservare man mano l’evolversi della situazione, per esempio c’è anche il tema del turismo degli affitti: in molti stanno puntando su quello e ci sono diversi progetti per legare questo turismo alla ristorazione”. È comunque necessario essere proattivi: ovvio che la situazione non è certamente positiva, ma occorre prendere ciò che di utile ci sta offrendo e pensare a nuove forme di business. “Ai nostri associati consigliamo di cavalcare l’onda, sono nate diverse startup sulle quali abbiamo fatto scouting”.

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