Si discute spesso della sostenibilità economica dell’alta ristorazione e non sono rare, soprattutto, negli ultimi anni, le notizie di chiusure – o buchi di bilancio importanti – di ristoranti prestigiosi (prima tra tutte quella del forse più famoso ristorante stellato al mondo, il Noma di Copenaghen, che dovrebbe chiudere entro al fine di quest’anno). Le cause sono note: i costi altissimi, gli aumenti generalizzati dei prezzi degli ultimi anni (da quelli delle materie prime a quelli energetici), la generale diminuzione della capacità di spesa che, seppur in forma minore, pure impatta i servizi di gamma alta e, ovviamente, la difficoltà a mantenere e reperire personale. Una criticità, quest’ultima, dovuta anche le non sempre facili condizioni di lavoro che caratterizzano il mondo della ristorazione tutto.
C’è, tuttavia, anche l’altro lato della medaglia. Quello dell’indotto che sul territorio e sugli altri segmenti del turismo – hotel in primis – i ristoranti di alto livello possono produrre, a partire da quelli stellati. Un fatturato che, in quest’ultimo caso, è stato stimato dalla Michelin, per l’Italia, in 438 milioni di euro per il 2023. Ma come e dove si produce questa ricchezza e chi è a generarla?
L’impatto del “taste tourism”
Secondo Michelin, che ha fatto realizzare da JFC un’analisi sul “taste tourism”, cioè sul turismo legato alle esperienze gastronomiche, lo scorso anno i ristoranti stellati italiani hanno accolto 2,4 milioni di clienti. È interessante notare che il 40,7% proviene dall’estero (da 43 Paesi differenti per la precisione, con Usa, Francia e Germania in testa). Quest’anno la quota di indotto – cioè di ricchezza che questi turisti generano sul territorio, senza considerare quello che spendono nel ristorante stellato – dovrebbe aumentare ancora fino a toccare quasi i 500 milioni di euro.
A beneficiarne sono anche le strutture ricettive: il 74,6% della clientela estera e il 39,5% di quella italiana dei ristoranti stellati trascorre, infatti, almeno una notte nella destinazione o nelle immediate vicinanze, generando quindi benefici indiretti sui settori dell’ospitalità (circa 355 milioni), del commercio (48 milioni) e dei servizi locali (35 milioni). Per quanto riguarda gli hotel nello specifico, quasi il 70% dei gestori di hotel di qualità (da 3 a 5 stelle lusso) localizzati nei pressi di un’insegna stellata Michelin dichiara di avere clienti giunti in albergo proprio per recarsi in uno specifico ristorante: un dato che dice molto di quanto l’alta ristorazione possa fare da driver di viaggio e soggiorno in hotel.
Non solo grandi città
A livello territoriale, la regione italiana a beneficiare maggiormente della presenza dei ristoranti stellati è la Lombardia, seguita a ruota dalla Campania. In terza posizione troviamo il Piemonte. Se si guarda alle province, invece, in testa c’è Napoli, seguita da Roma e Milano. Rilevante – anche rispetto al tanto discusso tema della diversificazione dei flussi turistici – il dato relativo ai Comuni che, dopo un podio formato da tre capoluoghi di Regione (Milano, Roma e Firenze), vede la presenza di Comuni di ben più piccole dimensioni come Senigallia al quarto posto e Massa Lubrense al quinto, grazie alla presenza di alcun degli stellati più noti, come quelli degli chef Moreno Cedroni e Mauro Uliassi. Nella top ten seguono, non a caso, anche Orta San Giulio, Alba e Brunico, che ospitano tra gli altri le cucine di Antonino Cannavacciuolo, Enrico Crippa e Norbert Niederkofler.
(In foto, La Pergola guidato dallo chef Heinz Beck, unico ristorante Tre Stelle Michelin di Roma)
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