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Ripartire dalla felicità

Le criticità, i punti di forza e la strada da percorrere per tornare a essere attrattivi: l’analisi sulle HR dell’hospitality di Great Place to Work Italia

Le criticità, i punti di forza e la strada da percorrere per tornare a essere attrattivi: l’analisi sulle

Di Silvia De Bernardin, 30 Agosto 2022

Quanto sono attrattive oggi le aziende dell’hospitality e su cosa dovrebbero puntare per riuscire ad attirare, e trattenere talenti? Nel pieno dell’estate della ripartenza – caratterizzata dalle difficoltà del comparto ad avere a disposizione personale – ne abbiamo parlato con Beniamino Bedusa, presidente di Great Place to Work Italia, società di ricerca, tecnologia e consulenza organizzativa che analizza gli ambienti di lavoro raccogliendo e analizzando le opinioni dei collaboratori e la employee experience e che ogni anno pubblica la classifica dei Best Workplaces®, con l’elenco delle migliori aziende italiane nelle quali lavorare. La fotografia – ci spiega Bedusa – è quella di un comparto “ad altissimo potenziale” che, per tornare a essere attrattivo, dovrà, prima di tutto, mettersi al passo con le esigenze delle nuove generazioni. E rivedere il proprio approccio alle HR ripartendo dal cuore della propria mission: rendere le persone felici.

Domanda. Dal vostro osservatorio, quanto risultano attrattive in questo momento le aziende del comparto turistico, in modo particolare quelle dell’ospitalità e della ristorazione?
Risposta. Molte aziende nel settore mostrano interesse per gli strumenti per l’ascolto dei dipendenti, ma non sono tante quelle che vanno avanti e dimostrano di volersi davvero mettere in gioco, con qualche eccezione lodevole come nel caso di Hilton. Il quadro che emerge è quello di un settore ad altissimo potenziale di attrazione, che però non riesce a tenere il passo con le nuove generazioni e le loro consapevolezze. La pandemia ha profondamente mutato la percezione dei lavoratori soprattutto riguardo l’insicurezza del posto di lavoro; in alcune strutture l’impatto del Covid è stato importante. Inoltre, durante il lungo periodo del lockdown, molti lavoratori del settore sono stati lasciati andare e hanno trovato occupazione in altre industrie meno associate a un immaginario di precariato e scarsa retribuzione e magari con maggior tempo e flessibilità. Insomma, nonostante i palesi punti di attrazione che può fornire il lavorare in un ambiente dinamico, culturalmente aperto e stimolante, il settore turismo in Italia ha bisogno di “rifarsi il trucco”. Manca l’ascolto strutturato per valutare obiettivamente la soddisfazione dei dipendenti, e mancano politiche efficaci di engagement.

D. Quali sono i punti di maggior criticità per queste imprese dal punto di vista del clima e del benessere aziendale?
R. Sono principalmente quattro. La prima riguarda le tipologie contrattuali: i contratti stagionali, infatti, non consentono di creare una relazione continuativa e di fiducia a lungo termine tra azienda e persone; quindi, la sfida sta proprio nel riuscire a mantenere un rapporto nel tempo. La seconda è la flessibilità: i lavori di questo settore sono raramente flessibili da un punto di vista di orari o di possibilità di smart working, elemento, questo, che di sicuro risulta meno attrattivo per i candidati. La terza riguarda il salario, che non sempre è allineato al tipo di impegno richiesto, soprattutto per gli stagionali. Infine, le prospettive per i lavoratori: lo sviluppo in aziende di ospitalità e ristorazione non risulta particolarmente ingaggiante, fatta eccezione per specifiche realtà più strutturate.

D. E quali sono, invece, i punti di forza sui quali le aziende del settore dovrebbero fare leva per riuscire maggiormente ad attrarre e trattenere talenti?
R. Stiamo parlando di un settore che ha come obiettivo quello di rendere le persone felici: questa è la consapevolezza che dovrebbe essere la base e il cuore per ingaggiare i dipendenti. È uno dei purpose più potenti. La maggior parte delle leve per garantire l’engagement dei dipendenti dovrebbe partire da qui. Un consiglio è quindi puntare sugli elementi di attrazione del settore: lo spirito di avventura, il contatto umano, la possibilità di sperimentare nuove culture, la mission di aiutare gli altri a stare bene e coronare i propri sogni. Rendere il purpose la vera leva motivazionale significa valorizzare la squadra, i momenti che creano coesione, orgoglio e senso di gruppo; attivare delle politiche che favoriscano una certa flessibilità per lavorare sul work-life balance; creare engagement già durante il processo di onboarding, magari organizzando incontri tra la potenziale nuova risorsa e persone di dipartimenti diversi, così da far sentire il candidato parte di un progetto ancor prima di cominciare. Gli HR dovrebbero lavorare con i manager per assicurarsi che policy e procedure riguardo training, recruitment, retention e promozione siano chiare e comprensibili così che chiunque si avvicini all’azienda possa sentire di avere una prospettiva di futuro a medio-lungo termine. E, soprattutto, considerare gli stagionali come parte di tutta la macchina, non persone che “tanto poi andranno via”.

D. Ci sono esempi di best practice in altri settori occupazionali ai quali le aziende dell’ospitalità potrebbero ispirarsi per risultare più attrattive?
R. Come dicevamo, il turismo ha una purpose potentissima: siamo certi che, ascoltando i dipendenti, si potrebbero trovare politiche interessanti a basso costo. Ogni settore ha una peculiarità, possiamo anche proporre delle best practice appartenenti ad altre industrie ma siamo convinti che parlando con i dipendenti del settore turismo ci sarebbe ampio spazio per l’implementazione di politiche semplici, efficaci e adatte alle singole strutture. Volendo fare qualche esempio, però, un ottimo caso di best practice ci viene fornito da DHL Express, che ogni anno dedica una settimana a ringraziare personalmente i propri dipendenti per il lavoro svolto tramite attività dedicate: barbecue, colazioni, sfide, giochi, uscite di squadra. Invece in Fluentify esiste un appuntamento fisso di 30 minuti in cui qualcuno del team mostra e insegna agli altri una cosa in cui è bravo o che gli piace particolarmente fare – una practice che crea senso di appartenenza ma anche formazione bottom-up su tematiche non prettamente lavorative. Infine, vorrei citare MSD Italia che ha implementato un progetto di wellbeing che supporta i dipendenti nel perseguimento di uno stile di vita sano, capace di conciliare la vita lavorativa con quella privata e/o familiare: una vera e propria cultura orientata al benessere della persona.

D. Quanto potrebbe incidere il miglioramento del clima e del benessere aziendale per risolvere (almeno parzialmente, se non del tutto) il problema del reperimento di personale?
R. Di sicuro lavorare sul benessere organizzativo e sugli aspetti legati al contratto psicologico – e cioè, le aspettative – può aiutare, ma l’aspetto da tenere maggiormente in considerazione è che l’esperienza lavorativa sia un valore aggiunto nella vita della persona. Non è un tema solamente retributivo, ma che riguarda anche le possibilità di formazione e le nuove esperienze di crescita personali. Le nuove generazioni hanno aspettative diverse: bisogna ascoltarle per formulare un’offerta coerente. Il vantaggio del turismo sta nel suo potenziale di divertimento, libertà, possibilità di essere sé stessi, tutti temi che i giovani ricercano attivamente in un’esperienza lavorativa. Le strategie di qualche anno fa non possono più avere successo oggi. La creazione di una employee advocacy in cui siano gli stessi impiegati a parlare bene dell’azienda è una strategia di successo nell’attirare persone della stessa generazione. Oggi questo succede raramente in modo spontaneo e molte campagne di comunicazione di aziende del settore sembrano più rivolte ai soli clienti che a potenziali collaboratori, sono sfumature che saltano all’occhio più di quanto si pensi.

D. In questa fase, responsabili HR e manager alberghieri lamentano spesso non solamente la difficoltà a trovare personale, ma anche a trovarlo “motivato”. Quali sono le leve sulle quali agire in fatto di “motivazione”? Ovvero, come si “motiva” oggi il personale? E quanto conta l’aspetto retributivo?
R. Abbiamo intervistato oltre 94mila persone solo nel 2021, quindi disponiamo di dati molto significativi sul tema della retention. La motivazione è fondamentale per instaurare una fiducia a lungo termine nell’azienda e per garantire un buon servizio rivolto al cliente finale. Sorprendentemente, la retribuzione non ha un impatto così forte in termini di motivazione, o almeno, ce l’ha a breve termine. Dalle nostre ultime ricerche ciò che impatta maggiormente la motivazione di un collaboratore è il benessere psicologico, e cioè la serenità psicologica sul luogo di lavoro, la libertà di essere sé stessi e l’equilibrio fra lavoro e vita privata. Segue poi il sense of purpose, la percezione positiva del proprio contributo alla comunità, l’aderenza tra il proprio scopo di vita e quello aziendale. Facendo riferimento al settore turistico è di sicuro vincente insistere sulla possibilità di fare esperienze non solo a livello professionale, ma anche e soprattutto personale. Gli elementi relazionali rappresentano delle leve importanti nelle motivazioni di abbandono, come la mancanza di senso di appartenenza o di apprezzamento sul lavoro. Il collegamento tra la motivazione e il servizio finale al cliente è fortissimo: riuscire a motivare la persona non rende solo in termini di lotta alla retention, ma porta anche maggior soddisfazione al cliente. Non percepire questo tema come strategico non solo a livello HR, ma anche a livello commerciale può portare, nel medio termine, a dei danni anche dal punto di vista economico.

Quando un’azienda è best
Quali sono gli elementi che differenziano un’azienda virtuosa dal punto di vista del clima e del benessere aziendale e della gestione delle risorse umane da tutte le altre? Great Place to Work ne indica cinque:
promozioni assegnate su base meritocratica
possibilità di sperimentare nuove modalità di lavoro
risposta rapida al cambiamento
benefit particolari per ogni singola struttura
poter accedere a opportunità di sviluppo e formazione.

Parlando nello specifico del settore dell’ospitalità, inoltre, le aziende dovrebbero:
puntare sulla diversità e sull’inclusività all’interno dei dipartimenti: la diversità di solito migliora le performance finanziarie ed è una spinta verso innovazione, creatività e l’attrazione dei clienti;
diminuire il senso di insicurezza che si è creato nel settore andando a spingere fortemente sulla crescita interna e sulla formazione degli stagionali: anche se la persona andrà via avrà comunque appreso competenze utili per il suo futuro e non solo per il lavoro specifico che doveva eseguire;
trattare i dipendenti un po’ come clienti: provare a garantire una vita “bellissima” all’interno del posto di lavoro grazie a benefit diretti come l’offerta quotidiana di frutta, caffè e colazioni, sino alla possibilità di avere servizi gratis per loro e la famiglia all’interno della struttura;
provare a costruire un’opportunità di sviluppo anche per le persone che restano poco in azienda: potrebbero tornare in futuro a ricoprire altre posizioni. Fare particolare attenzione in questo ambito alla parte digital;
essere flessibili con i turni di lavoro: mostrarsi aperti a venirsi incontro risulta in un senso di responsabilizzazione del dipendente che si ripercuote positivamente sulla performance lavorativa.

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