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Quali regole per valorizzare il potenziale delle proprie risorse umane

Di Marco Bosco, 25 Febbraio 2011

Valutare, sviluppare e premiare il potenziale: imperativi assoluti di qualsiasi organizzazione d’azienda che miri a valorizzare il proprio personale; obiettivi comuni a molte imprese, ma non sempre facili da raggiungere. «La valutazione del personale», racconta il direttore risorse umane di Carlson Wagonlit Travel, Bruno Rosati, che al Tfp Summit terrà proprio uno speech su questo tema particolarmente sensibile, «richiede delle regole precise, a cui è imprescindibile attenersi se non si vogliono generare effetti opposti a quelli desiderati. A cominciare da una buona predisposizione all’ascolto e dalla capacità di mantenere un atteggiamento sempre asettico e imparziale, per poter formulare un giudizio davvero oggettivo».
Altro accorgimento assolutamente da rispettare è quello di evitare qualsiasi espressione che possa ingenerare nella risorsa conclusioni distorte rispetto al messaggio che si intende comunicare, creando in questo modo false aspettative o disillusioni non giustificate. «Bisogna saper controllare molto bene il proprio linguaggio», riprende Rosati. «Così, per esempio, se si vuole fare qualche osservazione è molto importante fornire al proprio interlocutore percorsi praticabili per migliorare le proprie performance. Se, invece, l’intenzione è quella di motivare una persona con un apprezzamento sul suo lavoro, allora è meglio comunicare pubblicamente l’osservazione, in questo modo rendendo il messaggio molto più appagante».
Il giudizio deve quindi essenzialmente basarsi sulle reali azioni della risorsa esaminata. «Si comincia dalla definizione dei motivi alla radice della valutazione in corso e, con l’ausilio di una scheda ad hoc, si prendono in considerazione le attività e il modo di pensare di ogni collaboratore. Abilità non comuni, come la capacità di ragionare fuori dagli schemi, out of the box direbbero gli anglofoni, sono per esempio, nel caso di quadri o dirigenti, sintomi caratteristici di risorse dall’elevato potenziale».
A partire da tale valutazione iniziale, i programmi di valorizzazione procedono quindi con la definizione di una serie di obiettivi realistici e mirati. «La procedura prevede generalmente tre step: al primo incontro di valutazione iniziale segue un confronto a metà del percorso e un appuntamento conclusivo per esaminare i risultati finali. L’importante è avere ben chiari, già in partenza, i ruoli e le risorse professionali da coinvolgere, nonché gli obiettivi da raggiungere. Sembra scontato, ma non è sempre così, soprattutto in settori come quello del turismo, dove spesso ruoli e specializzazioni non hanno confini ben definiti, con frequenti sovrapposizioni di responsabilità e competenze».
Termine naturale del processo è, infine, la misurazione finale delle performance e l’eventuale assegnazione di premi e riconoscimenti a chi ha ottenuto i risultati prefissati. «Normalmente», conclude Rosati, «gli obiettivi possono essere di due tipi: finanziari e personali. Essendo questi ultimi di natura profondamente diversa, i primi strettamente legati ai risultati dell’intera azienda e i secondi alle performance individuali, è bene sempre mantenere un buon bilanciamento tra di loro. Serve a evitare effetti indesiderati, come, per esempio, l’eccessiva deresponsabilizzazione delle risorse, nel caso in cui la preponderanza degli obiettivi finanziari sia tale da legare eccessivamente il raggiungimento dei traguardi prefissati al comportamento generale dell’impresa».

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