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Più peso alle donne nel lavoro per tornare a crescere nel lungo periodo

Di Marco Beaqua, 10 Giugno 2009

Si può, senza eccessivi timori di smentita, considerare generalmente condivisa l’opinione per cui i cambiamenti futuri del mondo del lavoro saranno soprattutto legati al crescente predominio del settore dei servizi e alla riduzione della popolazione in età lavorativa. Fenomeni a cui si aggiungerà, probabilmente, una sempre più accentuata carenza di talenti. Forse un po’ meno scontata è invece la considerazione che, per aumentare in tempi rapidi la propria forza lavoro, i governi e le imprese dovrebbero rivolgersi a un gruppo demografico specifico, ancora non ben rappresentato nell’economia ufficiale, ma in grado invece di offrire molto al mondo produttivo.
Stiamo parlando delle donne, la cui attiva partecipazione nel mercato del lavoro potrebbe aumentare la crescita economica, ridurre la povertà, accrescere il benessere della società e contribuire allo sviluppo sostenibile di tutti i paesi. Lo rivela una recente ricerca Manpower, realizzata a livello mondiale e i cui risultati evidenziano come le maggiori barriere, a una più attiva partecipazione delle donne alle economie dei propri paesi, siano rappresentate soprattutto dalla eccessiva rigidità delle strutture del lavoro. Le differenze di salario, poi, continuano a essere un problema: le donne nei paesi Ocse, in particolare, guadagnano in media il 17% in meno degli uomini, mentre negli Stati Uniti la differenza sale al 20%. È poi ancora molto diffusa la convinzione che le donne non abbiano le stesse opportunità di avanzamento degli uomini e tutto ciò nonostante, nel mondo, sia molto più alto il numero delle laureate rispetto a quello dei laureati. Sarebbe perciò necessario, prosegue l’indagine Manpower, imparare a valutare ogni posizione lavorativa in base alle effettive capacità ed esperienze che le persone possiedono, facendo una stima dei risultati e del livello di conoscenza raggiunti esulante dal tempo che la risorsa trascorre alla sua scrivania. Occorrerebbe, in altre parole, eliminare i controlli sugli orari e utilizzare tecnologie che permettano ai singoli di lavorare e collaborare con facilità a distanza. Le normative su stipendi, benefit, previdenza e pensioni andrebbero poi modificate, basandole più sugli obiettivi raggiunti che sul modello delle 40 ore settimanali, mentre le politiche che rendono difficile per le donne rientrare nel mondo del lavoro dopo aver interrotto la carriera (di solito per avere figli) potrebbero essere rese più flessibili, con una maggiore disponibilità di impieghi part-time, nonché di possibilità di lavorare da casa e di evitare gli straordinari.
«Le donne al vertice che ho incontrato nella mia carriera sono state poche. Ma migliori dei loro colleghi uomini: brillanti, determinate, altamente professionali ma che, al riconoscimento delle proprie competenze, hanno spesso sacrificato importanti componenti del privato, arrivando in alcuni casi fino alla rinuncia alla maternità», è il commento del presidente e amministratore delegato di Manpower, Stefano Scabbio. «E allora perché questa situazione, che pure ha raggiunto un livello di consapevolezza diffuso, non riesce a cambiare direzione? La strada da percorrere è complessa e si dipana in diversi ambiti. Quello aziendale, in cui è necessario introdurre servizi di supporto e processi organizzativi che consentano una flessibilità reale e non solo espressa a parole. Quello politico, per sviluppare anche dal punto di vista legislativo un supporto concreto e profondo, lontano dalla forzatura inutile delle quote rosa. Quello personale, con scelte più coraggiose da parte delle donne, come quella di avventurarsi in settori che purtroppo culturalmente sono stati di appannaggio maschile, e con strategie familiari collaborative che stabiliscano un equilibrio nuovo rispetto ai ruoli tradizionali».

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