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Osservatorio: E Bali rimase un sogno… senza il visto turistico

Di Job in Tourism, 9 Luglio 2004

Un obiettivo puntato sul mondo del turismo e dei viaggi, per illuminarne aspetti inediti e punti sensibili. Quello dei reclami è un fenomeno in crescita fra i turisti sempre più consapevoli dei propri diritti. Ce ne parlano Arianna Magno e Laura Manfredi, titolari di 2M Consulting.

Il caso
Le vicende qui di seguito riportate avvennero negli ormai lontani anni ’80. Ma l’esito giudiziale della vicenda è ancora talmente attuale, che i fatti meritano, ancor oggi, un’attenta lettura, almeno a parer nostro.
Un gruppo di amici, che mai si erano allontanati dall’Italia per un viaggio di piacere, decisero di trascorrere il periodo immediatamente successivo al Capodanno in un paese esotico. Si affidarono quindi alla consulenza di un’agenzia di viaggi del Milanese, affinché organizzasse un pacchetto di due settimane, secondo le loro indicazioni: i primi giorni a Manila (Filippine), e i restanti nell’Isola di Bali (Indonesia). L’agenzia procurò al gruppo di amici sia i biglietti di viaggio sia i voucher di soggiorno, con il timbro della stessa agenzia.
La vacanza iniziò nei migliori dei modi, rispettando le aspettative dei viaggiatori. Finché non giunse il giorno di lasciare Manila alla volta dell’Indonesia. Raggiunto, infatti, l’aeroporto di Jakarta, i nostri sfortunati turisti furono fermati, e fu loro impedito l’ingresso in Indonesia: erano privi del visto di ingresso turistico, richiesto obbligatoriamente da quel Paese per tutti i visitatori. Visto di cui non avevano assolutamente conoscenza. Dovettero quindi tornare a Manila, non solo rinunciando al loro soggiorno indonesiano, ma dovendo anche affrontare in proprio la spesa per il soggiorno nelle Filippine, fino al loro rientro in Italia.

La decisione del giudice
Il giudice incaricato sentenziò che, fra gli obblighi di diligenza a carico dell’agenzia di viaggi, rientrava quello di avvertire i clienti-viaggiatori dell’esistenza di restrizioni per l’ingresso turistico in paesi stranieri. Il mancato avvertimento concretava, dunque, l’inadempimento di un obbligo giuridico.
Nella motivazione della sentenza si sviluppava con chiarezza il contenuto di questo obbligo giuridico.
Nei fatti, non esiste alcuna norma espressa che imponga a un’agenzia di viaggi di comunicare ai clienti l’esistenza di vincoli normativi, quali i visti turistici, le vaccinazioni obbligatorie e così via. Si noti inoltre il rilievo che a nulla vale l’eccezione proposta dall’agenzia, per la quale non sarebbe stata configurabile alcuna responsabilità, in ragione del suo essere semplice intermediaria fra il viaggiatore e l’operatore turistico: l’intermediario assume una responsabilità ben maggiore con riferimento alle obbligazioni sue proprie, legate al suo diretto rapporto con il viaggiatore, con particolare rilievo dei principi generali di diritto e dei buoni usi in questo campo.

Il nostro commento
La decisione del giudice, a nostro parere, è più che mai attuale, in un contesto economico che premia e
avvantaggia le società che curano con attenzione il customer care, e il rapporto diretto e personalizzato con ciascun cliente. Non vale, per l’agente di viaggi, sottrarsi alle proprie responsabilità, celandosi dietro a quelle dell’operatore turistico, laddove rientra sicuramente tra le sue esclusive competenze quelle derivanti dal rapporto diretto con il cliente, il quale, con fiducia, si rivolge all’agente per essere consigliato e assistito, in virtù delle sue specifiche competenze. Nei fatti, grava sull’agenzia un obbligo non giuridico, in senso stretto, bensì un obbligo morale: obbligo che attiene alla buona professionalità di un agente e al suo dovere di informazione nei confronti dei clienti. Crediamo che questo, ancor più di questi tempi, in un mercato che vuole e deve tenere il passo con una sempre maggiore consapevolezza dei viaggiatori-consumatori, possa essere un ottimo indirizzo per tutti coloro che desiderino operare, nel settore turistico con professionalità, e anche con profitto.

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