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Nel turismo il federalismo non paga

Di Floriana Lipparini, 8 Luglio 2005

di «Domandarsi se l’Italia è scesa al quarto o al quinto posto nella classifica dell’incoming è certamente importante per misurare se siamo o no in crisi, ma ancora più importante sarebbe poter contare su dati precisi e affidabili, elaborati da una fonte super partes»: per Giuseppe Boscoscuro, presidente di Astoi, la disponibilità dei dati sul turismo e la corretta elaborazione di quelli esistenti rappresenta un punto chiave di ogni politica volta a migliorare la situazione del mercato turistico italiano. In questo senso, Astoi, Associazione dei tour operator italiani, si è da tempo attivata realizzando, con le proprie risorse, l’Osservatorio dell’Associazione in collaborazione con Gfk Group.
Quello che manca, secondo Boscoscuro, è proprio una sorta di authority di settore cui riferirsi per orientare le strategie. «Quando si parla di crisi del turismo, dobbiamo chiederci: quale turismo? In realtà esistono tanti tipi di turismo: l’incoming, l’outgoing, il turismo balneare, il turismo interno. Per leggere correttamente i dati, dunque, occorre sapere a cosa ci si riferisce. Allora, quale turismo è in crisi? Il turismo enogastronomico e quello culturale e delle città d’arte tengono. In crisi invece è il turismo balneare, che soffre per la competizione di paesi molto più accessibili sul piano economico, come la Croazia, la Spagna e la Grecia. Ragionando sulla crisi del turismo, si deve disaggregare i dati e dividere il discorso per segmenti e tipologia di prodotto».
Qualche elemento però sembra accertato. Se il bilancio dell’outgoing come vendita di pacchetti sull’estero è ancora positivo, l’incoming invece è sicuramente negativo: ad esempio, negli ultimi due anni abbiamo perso cireca due milioni di tedeschi. «Il fatto è che non abbiamo una strategia nazionale, le deleghe alle regioni hanno frammentato il messaggio promozionale penalizzando il marchio Italia», osserva il presidente Astoi. «Esistono naturalmente anche altre ragioni, alcune strutturali come, ad esempio, il rapporto costo-qualità che non è favorevole rispetto ad altri paesi, o l’assenza di un forte vettore nazionale. Ma volendo le soluzioni si potrebbero cercare. Il problema della stagionalità si potrebbe affrontare cercando di convincere gli operatori stranieri a rischiare charter fuori stagione. Gli hotel sempre più vuoti andrebbero aiutati abbassando le aliquote Iva, troppo alte rispetto agli altri paesi europei. E naturalmente sarebbe necessario un grande impegno nella comunicazione a livello mondiale, per renderci più visibili. Non si tratta tanto di cifre, ma di scelta degli obiettivi: è il marchio Italia che va promosso e comunicato nel sio insieme con strategie che creino interesse e attrazione. In questo campo il federalismo proprio non paga, perché ormai il turismo è un prodotto globale e ci si deve confrontare con i competitor di tutto il mondo».
Nelle sue attività, Astoi è impegnata anche in un discorso sul turismo di qualità e di nicchia («Per attirare questo tipo di turisti, però, si dovrebbero rifare le coste, spazzando via tutte le mostruosità architettoniche che deturpano il paesaggio», precisa Boscoscuro), e in particolare è attenta al tema del turismo responsabile: «Il 2005 è stato dedicato proprio a questo tema. Ogni nostro operatore è delegato in tal senso a fare cultura sul consumatore. Collaboriamo con l’Universirà di Bologna a un progetto sulla biodiversità, e abbiamo anche organizzato un master con la Bicocca di Milano. Siamo molto sensibili su questo punto, si tratta del business del futuro».

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