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Milano-Doha e ritorno, il racconto di Stefano Spartà

In servizio al Four Seasons Milan, nelle scorse settimane Spartà (al centro della foto con gli altri finalisti italiani) ha rappresentato l'Italia ai World’s Best Receptionist 2023 di Doha e qui ci spiega cosa significa oggi lavorare al front office alberghiero

In servizio al Four Seasons Milan, nelle scorse settimane Spartà (al centro della foto con gli altri finalis

Di Job in Tourism, 13 Marzo 2023

Ha rappresentato l’Italia alla competizione internazionale dell’AICR, che nei giorni scorsi ha incoronato a Doha il World’s Best Receptionist 2023. Non ha vinto, ma ha ottenuto un ottimo piazzamento portando a casa il ricordo di un’esperienza “unica nella vita”. Abbiamo incontrato Stefano Spartà – classe 1992, Guest Relation Agent del Four Seasons Milan – per farci raccontare come è andata a Doha e, soprattutto, cosa significa oggi lavorare al front office alberghiero in Italia.

Che esperienza è stata quella di Doha?

Un’esperienza bellissima, una di quelle once in a lifetime, come si dice in questi casi, dal momento che è possibile competere una sola volta in tutta la carriera. A prescindere dal risultato, mi sono sentito sicuro di quello che ho fatto, e mi sono divertito, ho conosciuto tantissime persone con le quali abbiamo legato.

Considerato il contesto internazionale della competizione, ha notato differenze e punti in comune nel modo di intendere la professione con i colleghi degli altri Paesi?

Sicuramente la passione è ciò che ci accomuna – anche perché mi è parso di capire che, come in Italia, anche nel resto del mondo il settore del turismo non è tra quelli pagati meglio. Differenze ci sono, ma scaturiscono per lo più da diversità di tipo culturale: noi europei, per esempio, siamo più spontanei nell’approccio all’ospite e nella reazione a eventuali problemi, mentre i colleghi asiatici hanno uno stile più “impostato”.

Che cosa significa fare oggi il Guest Relation Agent? Quali sono le skills richieste?

Dal punto di vista delle competenze, sicuramente la conoscenza delle lingue è fondamentale. Poi bisogna essere capaci di pensare un po’ fuori dagli schemi perché spesso le situazioni richiedono soluzioni non immediatamente visibili. Se guardo al mio contesto lavorativo, sicuramente oggi Milano è una destinazione molto vivace, con nuove aperture da parte di brand importantissimi. Ci sono davvero tante opportunità in questo momento.

E le difficoltà?

Le difficoltà riguardano sicuramente l’aspetto economico. I nostri contratti collettivi sono fermi al 1970: considerando che l’Italia vive di turismo è sicuramente questo un controsenso. La partecipazione a eventi internazionali come questo di Doha e tutte le altre attività promosse dalle associazioni di categoria puntano a portare benefici in termini di conoscenza e di passaparola e, speriamo, anche ad azioni utili dal punto di vista dell’aggiornamento dei contratti.

La passione, diceva, è una leva fondamentale per fare un lavoro che oggi sempre meno giovani vogliono fare…

Si dice che i giovani non hanno più “voglia” di lavorare ed è chiaramente un cliché. I giovani oggi si fanno due conti in tasca: se sul piatto della bilancia non c’è qualcosa che riesca a controbilanciare turni, orari, festività, notturni, una vita comunque sacrificata, è chiaro che è molto difficile. Il fatto che le generazioni più adulte risolvano tutto dicendo che i giovani non hanno voglia di lavorare denota una visione superficiale di una situazione che, vista dall’interno, è molto diversa. Non è chiaramente un discorso materialistico, ma è chiaro che un ragazzo deve potersi realizzare anche da un punto di vista economico.

C’è anche un tema di qualità del lavoro. Quanto conta?

Moltissimo. Per me l’equilibrio tra la vita lavorativa e quella personale conta tantissimo – ho un bambino di 7 mesi, una compagna e non voglio sacrificare la mia vita personale. Chiaramente, in un lavoro come il nostro fatto tantissimo di standard, tende a spiccare di più chi è più presente. Capita ancora che il tempo speso in hotel diventi un vantaggio competitivo. Da questo punto di vista, il mondo del turismo è ancora un po’ indietro e succede che chi sacrifica molte ore al lavoro venga visto “meglio” rispetto agli altri. Ma non ha senso: se lavori 12 ore al giorno, chiaramente la qualità del lavoro non può che essere quella che è. Per fortuna, molte cose stanno cambiando.

Nel 2020, in piena pandemia, è stata premiato come best up-seller al Four Seasons di Milano, dove lavora. Quanto conta questo aspetto nel lavoro di front office?

Personalmente non sono un up seller di quelli “spinti”, ma certamente rientra tra i nostri compiti anche vendere. A volte l’ospite non è a conoscenza di determinati servizi e prodotti che possiamo offrirgli – spesso neanche immagina di aver quel determinato bisogno – ecco, se raccogliendo gli indizi che ci dà riusciamo a proporgli qualcosa che gli permetta di vivere un soggiorno migliore, questo è un bel risultato doppio: offrire all’ospite un soggiorno più adeguato ai suoi bisogni e permettere all’hotel di monetizzare di più.

Si parla molto della necessità di trovare un punto di equilibrio, nella guest experience, tra uso della tecnologia e tocco umano. Operativamente, è complicato farlo?

È un tema delicato. La tecnologia ci aiuta tantissimo dal punto di vista dell’operatività, oggi come oggi è impensabile farne a meno. Però, è altrettanto vero che la tecnologia porta via tanto tempo: molte volte, pur di rispettare tutte le varie incombenze che passano dal computer, si rischia di tralasciare la guest experience diretta col cliente. Gli ospiti con noi vogliono parlare, chiedono consigli, ci cercano proprio perché desiderano il “tocco umano”: ecco, il rischio è che per stare dietro alle procedure tecnologiche questo tocco venga a mancare o sia sacrificato.

Come si vede tra una decina di anni?

In questo momento mi sento pronto, sono sicuro delle mie capacità e sicuramente voglio crescere professionalmente, ma senza tralasciare la mia vita personale. Spero di trovare il giusto compromesso.

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