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“Ma chi me lo fa fare?” Idee e azioni per ripensare il lavoro

Il nuovo saggio dei filosofi Colamedici e Gangitano analizza il malessere diffuso verso il lavoro e le sue origini proponendo riflessioni e azioni per reinventarlo alla luce dei nuovi bisogni delle persone

Il nuovo saggio dei filosofi Colamedici e Gangitano analizza il malessere diffuso verso il lavoro e le sue or

Di Silvia De Bernardin, 24 Maggio 2023

Come hanno evidenziato anche i dati diffusi nei giorni scorsi dall’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano a proposito del malessere sempre più diffuso nei confronti del lavoro – e delle necessarie risposte al problema che stanno anche in capo alle aziende e alle risorse umane – quella che credevamo essere una crisi di natura strettamente economica si sta rivelando come qualcosa di nettamente più profondo, che investe la ricerca di un nuovo senso legata al lavoro.

Parte da questa riflessione Ma chi me lo fa fare? Come il lavoro ci ha illuso: la fine dell’incantesimo, il nuovo libro dei filosofi Andrea Colamedici e Maura Gangitano pubblicato da HarperCollins. Un saggio che, a partire proprio dal “ripensamento radicale delle basi con cui interpretiamo il mondo” al quale stiamo assistendo , ricostruisce in chiave sociologica ed economica come siamo arrivati a quella concezione del lavoro che oggi ormai sembra non tenere più. Una messa in discussione profonda del lavoro per come lo conosciamo che non punta a demonizzarlo, ma piuttosto ad aprire spazi di riflessione e azione su come sia possibile reinventarlo a partire da concetti come la cura, la politica, la gestione dei conflitti e dei cambiamenti climatici.

Cosa possono fare le organizzazioni?

Nella parte finale, il saggio di Colamedici e Gangitano dedica un capitolo alle organizzazioni aziendali e a ciò che possono fare per creare ambienti meno performativi e tossici, nei quali le persone possano vivere e lavorare meglio. Riflessioni che nascono da ciò che, in qualità di consulenti, i due filosofi osservano spesso nelle aziende. Ovvero, “la mancanza di cura, cioè di attenzione alle esigenze delle persone. Le ricerche sugli ambienti di lavoro – scrivono – stanno dimostrando la necessità di fare attenzione alle persone, che talvolta hanno dei bisogni che vanno prima di tutto ascoltati perché potrebbero essere diversi dalle aspettative”. L’indicazione, dunque, è prima di tutto “cambiare il punto di vista, cercare di capire quanta lontananza c’è tra le persone e il loro lavoro all’interno di un’azienda”.

Le domande da porsi

Il modo per farlo è porsi per prima cosa delle domande. Colamedici e Gangitano indicano le principali: il trattamento economico e i benefici garantiscono alle persone di lavorare serenamente? Il carico di lavoro è proporzionato al tempo a disposizione per fare le cose per bene? È possibile ridurre gli orari di lavoro mantenendo salari e produttività? E, ancora, le persone hanno influenza sulle decisioni che riguardano il proprio lavoro? Il lavoro viene apprezzato? Le persone si sentono parte di un gruppo di lavoro e ne condividono i valori?

“Molto spesso – analizzano i due filosofi – le aziende partono dai valori e dal purpose, ma si concentrano poco sulle prime domande, quelle relative al trattamento economico e al carico di lavoro, che dal punto di vista di chi lavora sono invece essenziali, perché legate al bisogno di stabilità e serenità. Cambiare il punto di vista e cercare di avere cura significa, quindi, rovesciare le priorità, spostarsi da ciò che è prioritario per chi dirige l’organizzazione e porta avanti la visione e lo scopo a ciò che è prioritario per chi ha una funzione esecutiva, che spesso può avere paura o vergogna a esprimere le proprie necessità. Non esiste una ricetta perfetta – concludono Colamedici e Gangitano – ma si può decidere di coltivare un approccio di cura, dedicando più tempo all’ascolto degli altri punti di vista”.

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