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Low cost a rischio miraggio?

Di Anna Romano, 25 Luglio 2003

Il management aziendale sempre più di frequente chiede ai travel manager di ricorrere ai carrier low cost per contenere quanto più possibile le spese di viaggio dei propri dipendenti. Ma realmente possono trarre vantaggio dalla discesa in campo dei vettori low coast? L’acquisto di servizi aerei a basso costo può effettivamente entrare a far parte stabilmente delle travel policy aziendali, contribuendo a far rispettare budget sempre più magri, a causa delle ripetute crisi internazionali che hanno molto penalizzato anche il settore dei viaggi d’affari?
Carlson Wagonlit Travel, network mondiale di agenzie specializzate nel viaggio d’affari, ha organizzato allo Starhotel business palace di Milano il dibattito intitolato appunto “Low cost: vantaggio o miraggio per il business traveller?”, invitando per l’occasione Letizia Orsini, responsabile per l’Italia della tedesca Hapag-Lloyd Express del gruppo Tui, e Eugenio Ragusa, direttore marketing dell’italiana Volareweb.
Il tema è stato indagato da Cwt con un’indagine svolta fra 38 travel manager di importanti società multinazionali, cui sono state poste alcune domande chiave per capire l’atteggiamento del segmento business nei confronti di questa opportunità, e anche per valutare se l’immaginario in proposito corrisponde alla realtà dei fatti. In altre parole, se il tipo di risparmio che ci si immagina possibile con i vettori low cost sia calcolato esattamente, oppure sia sovrastimato.
I risultati del survey, presentati dal direttore industry relations & solutions group Cwt Paolo Conti, mostrano un discreto gap tra i risparmi ipotizzati e quelli reali, sulla base di 24.500 tratte business travel in Europa. Secondo le analisi di Cwt, il rispamio potenziale per il totale budget del viaggio d’affari è spesso sovrastimato, dato che oltre il 40% delle aziende intervistate lo ritiene superiore al 10%, mentre Cwt giudica che possa toccare una quota massima del 5% e che la percentuale raggiungibile di market share non arrivi oltre al 5,5%. Occorre considerare una serie di fattori: attualmente i vettori low cost servono solo una minima parte delle tratte business (102 su 24.500, inclusi i 15 maggiori aeroporti come London Heathrow, Paris Orly…), hanno una frequenza di due voli giornalieri, a volte utilizzano aeroporti distanti oltre due ore dalle città, è necessario prenotare con largo anticipo per ottenere le tariffe più basse reclamizzate e il prezzo può cambiare in relazione all’andamento della domanda.
Altro elemento da considerare, è il fatto che in Italia i vettori low cost in realtà hanno adeguato le proprie prestazioni ad altri standard, operando da aeroporti non secondari, ricorrendo alla distribuzione tramite agenzie e proponendo al mercato business tariffe corporate. Quindi, per così dire, non rappresentano esattamente la categoria low cost. Secondo Paolo Conti “È necessario un approccio personalizzato per assicurare l’ottimizzazione dei risparmi”. Un esempio: una società basata nei pressi di uno degli aeroporti secondari, da cui operino una o più low cost che effettuano servizi di collegamento con altrettante destinazioni secondarie in Europa, sarà certamente interessata alle loro eventuali tariffe corporate.
Letizia Orsini ed Eugenio Ragusa hanno presentato le rispettive compagnie, mettendone in luce le caratteristiche e i pregi, spiegando nel dettaglio come si arriva alla tariffa low cost, chiarendo le possibilità offerte di pacchetti a terra che includono soggiorni in albergo o noleggio auto, e pronosticando una politica di maggiore attenzione per il segmento business nel prossimo futuro.
Hapag-Lloyd ha esordito in Italia nel dicembre scorso, e finora ha ricevuto un milione 300mila prenotazioni, Volareweb, con circa 400mila, ha iniziato a operare nel mese di marzo di quest’anno.

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