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L’Italia vista dall’altra parte delle Alpi

L'immagine del mercato alberghiero della Penisola secondo gli operatori presenti a Expo Real 2016

L'immagine del mercato alberghiero della Penisola secondo gli operatori presenti a Expo Real 2016

Di Massimiliano Sarti, 13 Ottobre 2016

«La Spagna ha un mercato senz’altro più aperto, però l’Italia ha decisamente più potenziale. È per questo che nella penisola iberica attualmente non stiamo investendo, mentre abbiamo parecchi progetti in corso a Sud delle Alpi». «Preferiamo focalizzarci su mercati più stabili. Inoltre in Italia non è sempre facile trovare hotel con più di 200 camere localizzate in aree commerciali o in prossimità degli aeroporti». Non ci potrebbero essere visioni più distanti sullo scenario tricolore del business alberghiero. Eppure il quadro della Penisola, secondo i player internazionali del padiglione dedicato all’hôtellerie di Expo Real 2016, è davvero frastagliato: praticamente un’immagine diversa per ogni realtà incontrata alla fiera dell’immobiliare di Monaco di Baviera. Il tutto, sempre e comunque disegnato su uno sfondo comune, che tra realtà effettiva e luoghi comuni (si veda a questo proposito anche il nostro articolo di pagina 11, ndr), disegna un mercato troppo frammentato e poco trasparente ma in lenta evoluzione e dalle enormi potenzialità inespresse.
L’architetto viennese Oliver Massabni è per esempio l’autore del primo dei due virgolettati citati. Al momento, il titolare dell’omonima compagnia di sviluppo con uffici in Germania, Austria e Italia, sta seguendo attivamente ben tre progetti nella Penisola: un boutique hotel a Trieste e due sviluppi internazionali a Prato e a Milano. Certo, anche per lui il mercato tricolore non è tutto rosa e fiori: le opportunità non mancano, ma la burocrazia è un ostacolo complicato da affrontare. E anche i cambiamenti più recenti non hanno migliorato di molto la situazione. «Le facce sono diverse, così come differenti sono alcune regole», ma le difficoltà sono le medesime. «Le persone, però, sono sempre amichevoli e simpatiche. Alla fine perciò i problemi si risolvono». Ecco allora che la compagnia austriaca ha intenzione di muoversi presto anche su altre destinazioni tricolore: soprattutto Roma e il Nord Italia, con un occhio di particolare riguardo ancora per Milano e poi Bologna, Torino e Verona.
Il secondo virgolettato è invece di Cornelia Kausch vice president development dell’asset management company scandinava Pandox: un colosso da 113 hotel per un totale di 24 mila camere distribuite in otto paesi differenti. L’occasione di entrare in Italia l’hanno avuta prima del 2010. Ma poi non se ne è fatto nulla e ora guardano altrove. «Espandersi in paesi di cui conosciamo meglio la cultura del business è più facile», ammette sempre Cornelia Kaush.
Un altro nome importante è quello di Motel One: il brand di budget-design hotel vanta 56 strutture in sei differenti paesi europei ed è prossimo allo sbarco a Milano. La compagnia ha siglato un accordo con il gruppo Vitali, per la gestione di un albergo da 400 camere in costruzione nel contesto del progetto di riqualificazione del Portello. Motel One punta esclusivamente su contratti di locazione a lungo termine, assumendosi anche l’onere dell’investimento iniziale in ff&e (arredi, ndr) e delle opere di rinnovamento degli interni. «Solitamente investiamo qualcosa come 12 – 15 mila euro a camera, collaborando con grandi marchi di design italiani e internazionali», racconta il director development Italia e Svizzera, Ulrich Demetz. Il gruppo preferisce gli immobili di nuova costruzione, in modo da garantire la massima efficienza degli spazi per hotel di minimo 120 stanze, ma è disponibile pure a conversioni di palazzi a uso ufficio. Il problema, in questo caso, è trovare immobili al giusto prezzo: le proprietà in Italia sono spesso sopravalutate, con inevitabili ricadute sull’entità delle locazioni richieste, «che non sono neppure giustificate dalle performance delle destinazioni primarie. A Milano per esempio, i tassi di occupazione si aggirano mediamente attorno al 63%, mentre a Monaco di Baviera si arriva al 77%-78%. I ricavi medi per camera disponibile, è vero, alla fine sono simili, ma questo solamente perché il capoluogo lombardo vanta un discreto numero di 5 stelle, per cui le tariffe salgono». E a chi punta sul segmento budget, importa senz’altro di più del livello di occupazione.
Chi crede molto nelle potenzialità dell’Italia è un vero guru dell’ospitalità tedesca come Stephan Gerhard, docente, consulente e operatore con oltre 40 anni di esperienza alle spalle e interessi in numerosi brand alberghieri. Tra questi c’è anche Fidelity Hotels, la compagnia che ha recentemente affittato, con opzione di acquisto, il Grand Hotel Imperial di Levico Terme e per cui si è già fatta carico di investimenti per 4 milioni di euro in otto anni. «Negli ultimi tempi il mercato italiano si sta avvicinando a quello del resto del Continente e persino la qualità dell’amministrazione pubblica è migliorata, almeno a livello nazionale». Con il riallinearsi dei prezzi alla media internazionale, prosegue Gerhard, diminuiscono inoltre le preoccupazioni di imbattersi negli interessi della criminalità organizzata, meno attratta da un business che sta ormai assumendo i tratti della normalità. Tra le questioni ancora irrisolte, c’è invece il costo del personale: troppo elevato rispetto alla Germania, tanto da raggiungere punte del 40%-45% del revenue totale nelle strutture dotate di un’offerta f&b. Tuttavia il feeling sulla destinazione è ottimo, dichiara Gerhard, tra i pochi che possono ancora permettersi di parlare di fiuto. Numerose sono perciò le discussioni in corso con protagonisti molti marchi di cui cura gli interessi tra cui, oltre a Fidelity, anche A-Rosa, arcona, arcona Living, a-ja Resort e 25hours Hotel: obiettivi, tre strutture in Trentino Alto Adige e una sul Lago di Garda, nonché ancora la Toscana e le destinazioni balneari. Ma per il medio periodo nel mirino ci sono pure Milano e Venezia…
Una realtà emergente è il Novum Hotel Group: una compagnia tedesca che in pochi anni è riuscita a costruire un portafoglio di oltre 100 alberghi e che ha da poco aperto una srl a Roma, in modo da garantirsi una base da cui iniziare l’espansione italiana. L’obiettivo è raggiungere quota cinque alberghi nella Penisola nel giro di due o tre anni, in città come Milano e Roma, seguite da Firenze e Venezia. Il target dell’offerta sono i 3-4 stelle da minimo 100 camere. La compagnia è anche disposta a mettere capitali propri nei progetti più interessanti, in partnership con la proprietà-investitore (key-money nel gergo alberghiero, ndr).
Novità anche dal brand lifestyle targato Marriott, Moxy, che ha appena siglato contratti per due nuove aperture a Venezia e a Milano Linate, in programma nei prossimi due anni e mezzo. Il vice president international hotel development, Markus Lehnert, sostiene che in Italia ci sia spazio per una cinquantina di nuovi Moxy, Ac Hotels a Courtyard (tre marchi Marriott midscale e upscale, ndr) nei prossimi sei-sette anni. La struttura di Malpensa, primo Moxy nel mondo, sta inoltre superando le aspettative in termini di performance, ma si attende l’apertura del collegamento ferroviario al terminal 2, dove è situato l’hotel, per capirne davvero tutte le potenzialità.
Mire concrete sull’Italia ci sono pure per Vienna House (32 alberghi in totale, in parte di proprietà e in parte in affitto o affiliati con contratti di management): «Il mercato è un po’ troppo complicato, soprattutto in termini di leggi e permessi. Una volta entrati, sono convinto però che sarà sicuramente tutto più facile», è l’opinione del ceo Rupert Simoner. Attratto dal buon livello delle tariffe medie, il gruppo austriaco intende puntare soprattutto su Venezia, Trieste, Milano e la costa adriatica, mirando al target di chi cerca un’ospitalità di design e non standardizzata, domanda domestica inclusa.
In attesa dell’apertura del primo hotel italiano a Roma il prossimo agosto, il gruppo Meininger pare invece avere già in corso trattative avanzate per un ulteriore hotel a Milano e due a Venezia. Tra gli obiettivi del gruppo britannico con sede a Berlino c’è pero anche Firenze, per un totale di una decina di strutture. Falkesnteiner, infine, dopo le recenti aperture a Jesolo, sul Lago di Garda e in Sardegna, punta dichiaratamente a proseguire la propria espansione italiana, dirigendosi soprattutto verso Sicilia, Puglia e Basilicata, nonché verso l’area dolomitica e quella veneziana, e ancora la Sardegna e il Lago di Garda. Per il gruppo con sede a Vienna ma di radici alto-atesine, il mercato italiano è ancora caratterizzato da strutture troppo piccole e prive dei necessari standard internazionali. Per contro, tuttavia, «sta migliorando un po’ il livello di trasparenza», conclude il managing director of development, Dieter Kornek.

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