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L’f&b espressione dell’Italian way of living

Met Bocconi: Il «consumattore» contemporaneo è un amante della convivialità, intesa come valorizzazione esperienziale del tempo libero

Met Bocconi: Il «consumattore» contemporaneo è un amante della convivialità, intesa come valorizzazione e

Di Marco Beaqua, 29 Giugno 2017

Esperienze uniche e convivialità. Sono le parole d’ordine della ristorazione di domani. Il tutto unito alla tendenza a posizionarsi verso i segmenti premium, in risposta a consumi sempre più “aspirazionali”, ossia sinonimo di appartenenza a un gruppo socio-culturale in cui ci si riconosce per identità di interessi e visione sul cibo. È una delle evidenze più importanti che emerge dallo studio «Ristorazione, lusso e territorio: Drivers dell’Italian way of living», promosso da HostMilano e condotto dalla direttrice del master in economia del turismo dell’università Bocconi, Magda Antonioli Corigliano, insieme alla ricercatrice Sara Bricchi.
Un’idea di evoluzione del mondo f&b, a supportare la quale arrivano anche i dati relativi al confronto tra i consumi domestici e del fuori casa: sebbene il food, il vino e gli alcolici di lusso registrino infatti trend di crescita piuttosto buoni (+4% solo tra il 2015 e il 2016), è però la ristorazione a beneficare maggiormente delle nuove direzioni della domanda. Aumenta in particolare il numero di locali d’eccellenza specializzati in un’offerta di nicchia rivolta a specifici segmenti di mercato. Tanto che oggi, secondo Bain & Company e Fondazione Altagamma, dei 45 miliardi di euro di fatturato complessivo del comparto f&b uplevel, il 46% si riferisce alla ristorazione.
Ma non si tratta, appunto, di uno sviluppo esclusivamente quantitativo. Cambiano anche le tipologie di alimenti più richiesti: in calo carne, sale e burro, in aumento la verdura. Mangiamo più sano e più “veggie” anche al ristorante. Ma non rinunciamo ai piatti più legati al piacere della convivialità, come primi e dessert. Il valore sociale nella scelta di cosa mangiamo e come lo mangiamo è infatti una delle costanti che emerge da alcune indagini recenti condotte dalla Federazioni italiana pubblici esercizi e ripresa dal Met nella propria ricerca.
In questo quadro in continua mutamento, esistono tuttavia delle costanti importanti. Mantiene in particolare la propria centralità il fattore umano: il rapporto diretto e spesso confidenziale con il ristoratore, sostiene lo studio Bocconi, è uno degli ingredienti segreti della ricetta di successo dell’ospitalità Italian style, e contribuisce a creare quell’esperienza unica nel quale il cliente si sente protagonista. Il consumatore in questo modo diventa un «consumattore» amante della convivialità, intesa come valorizzazione esperienziale del tempo libero. Non stupisce quindi il fatto che accoglienza e gentilezza del personale risultino importanti per l’81,6% delle persone (da un sondaggio TradeLab per Mixer del 2016). Interessante appare anche la propensione tutta italiana ad apprezzare la bellezza in ogni circostanza: il 51,2% del campione interpellato nella medesima ricerca TradeLab ha infatti mostrato grande attenzione anche per la mise en place e la presentazione dei piatti, con il 44,4% che avrebbe poi posto l’accento pure sullo stile dell’arredo.

La ristorazione nei numeri

Gli italiani mangiano sempre più fuori casa, dedicandovi oltre un terzo della spesa alimentare delle famiglie: circa il 35% pari a 75 miliardi di euro. Un dato che, a differenza dei consumi domestici, è rimasto stabile durante la crisi e ha ricominciato a crescere negli ultimi tre anni. E che si riflette nella densità unica al mondo delle imprese di ristorazione in Italia: oltre 325 mila secondo i numeri Fipe del 2016, per più della metà (53,1%) ristoranti, ma anche attività di ristorazione mobile, a conferma della crescita del fenomeno street food. La regione che concentra più ristoranti è la Lombardia (15,4%) seguita da Lazio (10,9%) e Campania (9,4%). Podio che si ripete anche nello street food: guida la Lombardia (13,9%) tallonata sempre da Lazio (11,3%) e Campania (9,3%). Pure nel fuori casa, come nell’imprenditoria italiana in generale, dominano infine le piccole e medie imprese: il numero medio di dipendenti è 5,6, per un totale di 376 mila addetti.

A Milano il cibo di qualità si declina sempre di più con l’ospitalità di lusso

Il capoluogo lombardo vanta una concentrazione particolarmente elevata di ristoranti di qualità. Sui 4.685 locali meneghini censiti da Fipe, sono infatti ben 215 quelli citati nelle tre guide più autorevoli (Michelin, L’Espresso e Gambero Rosso). Per tipologia di offerta domina poi la cucina contemporanea (24,2%). Ma circa il 10% dei locali propone invece piatti milanesi, sottolineando il forte legame dell’offerta f&b cittadina con il territorio. Una medesima percentuale di ristoranti è poi specializzata in proposte di altre regioni italiane. Tra le cucine etniche si segnala infine una netta prevalenza delle asiatiche (complessivamente quasi il 18%), mentre ancora bassa è la rilevanza della cucina fusion (0,9%) e dei ristoranti vegetariani/vegani (1,9%).
Ma nella metropoli lombarda si segnala soprattutto il fenomeno della crescita qualitativa dei ristoranti d’albergo: in passato vista spesso dagli operatori più come una necessità che un’opportunità, l’offerta f&b è oggi sempre più considerata come un elemento di caratterizzazione dell’esperienza dell’ospite, nonché come un’occasione per fare dell’albergo un punto di riferimento della zona in cui è inserito. È così che ora il 60,9% degli hotel 5 stelle di Milano gestisce uno (o più) locali menzionati nelle tre guide. Il dato è ancor più impressionante se si pensa che i 14 ristoranti d’albergo dei 5 stelle milanesi raccolgono il 23,8% delle stelle Michelin attribuite ai locali meneghini, il 17,5% dei cappelli e il 24,7% delle forchette.

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