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L’evoluzione del paradigma romagnolo

Si va verso approcci più imprenditoriali: potenzialità e criticità di un mutamento radicale

Si va verso approcci più imprenditoriali: potenzialità e criticità di un mutamento radicale

Di Massimiliano Sarti, 16 Maggio 2013

«Fino a una decina di anni fa, qui in provincia di Rimini, ancora il 70% delle strutture ricettive era condotto direttamente dalle famiglie proprietarie; il restante 30% da gestori esterni. Oggi queste percentuali si sono quasi invertite». Un cambiamento epocale, che pare rimettere in discussione un modello consolidato e apparentemente senza tempo: quello della riviera romagnola, fatto di piccole realtà a conduzione familiare, il cui successo si basava sulla buona volontà, le competenze e l’intuito dei titolari. Il nuovo trend è magari poco visibile in superficie, ma veloce e radicale allo stesso tempo, e ne sta erodendo le basi. Con quali conseguenze, se cioè le novità in divenire serviranno ad adeguare con successo l’offerta della costa romagnola alle mutate esigenze del mercato, lo scopriremo solo tra un po’. Nel frattempo, Antonio Marinaro, oggi consulente di direzione di Hgs Hotel, ma da anni protagonista del settore turistico locale, ce ne descrive con lucidità potenzialità e limiti.

Domanda. Che cosa sta accadendo esattamente?
Risposta. Succede che alcune famiglie, storiche proprietarie alberghiere della riviera, si sono accorte delle opportunità insite nel dare un taglio più imprenditoriale alla propria attività: viste le difficoltà incontrate nell’ampliamento e nello sviluppo delle strutture alberghiere originarie, tradizionalmente di piccole dimensioni, hanno deciso di aumentare il numero di camere offerte prendendo in management altri hotel e creando così nuovi modelli di gestione, in grado di ottimizzare acquisti e risorse.
D. Di per sé non sembra una tendenza particolarmente critica…
R. Il problema non è tanto con le società di gestione locali, quanto con alcune di quelle provenienti dall’esterno: a volte, manager con pochissima esperienza alberghiera alle spalle accettano affitti difficilmente sostenibili e provano a improvvisare gestioni complicate, che poi finiscono immancabilmente per abbandonare dopo appena un paio di stagioni. Certo, la colpa non è solo loro…
D. E di chi altrimenti?
R. Di un contesto generale che permette tutto ciò. Ogni anno qui da noi si assiste a un vero e proprio balletto di cambi di management e tutte le volte si dice che questa sarà l’ultima volta. Eppure dodici mesi dopo spuntano nuovi candidati gestori ai medesimi livelli d’affitto. Ecco, forse la colpa, quindi, è anche un po’ dei proprietari troppo esosi, che non accettano di abbassare i prezzi per attirare professionisti più preparati.
D. Quale sarebbe, allora, il modello ideale per una gestione corretta?
R. Quello di una società di stampo imprenditoriale, disposta a investire con oculatezza e dotata di un’organizzazione al passo coi tempi. Poi servono naturalmente anche strutture adeguate, in grado di rimanere aperte almeno per sei mesi.
D. La destagionalizzazione, però, è sempre stata una delle questioni critiche della riviera…
R. Sì, ma delle soluzioni ci sono. Occorre certo accettare compromessi tariffari, in particolare nei periodi in cui le scuole sono aperte.
D. Qualche esempio?
R. Nei periodi di bassa stagione si può, per esempio, provare a intercettare i flussi di mercato internazionali, soprattutto quelli provenienti dall’Europa orientale. Sono turisti sia di gruppo sia individuali, che non vengono tanto a Rimini per il mare, quanto per l’offerta escursionistica nel raggio di 100 chilometri. Per attirarli occorrono offerte appetibili che, seppure a volte dotate di scarsa marginalità, sono in grado di allungare la stagione. Naturalmente, in questi casi, valgono solo i numeri: ci vuole, insomma, continuità e quantità. Ma Internet è un prezioso alleato, perché consente di andare oltre i tour operator principali, raggiungendo persino gli individuali, nonché le piccole agenzie di viaggio e le ditte di pullman che organizzano un paio di trasferte all’anno e le prenotano via web. Senza contare, infine, che allungare la stagione significa anche dare più lavoro al proprio staff.
D. Quanto conta quest’ultimo aspetto?
R. Moltissimo. Perché garantire ai propri collaboratori una stagione lunga significa anche trovare persone preparate, disposte ad accettare retribuzioni in linea con le esigenze di mercato. Vuol dire, in altre parole, poter scegliere le competenze, come quelle del cameriere che conosce una lingua in più e ha già varie esperienze al proprio attivo. Ma lo stesso discorso vale anche per la reception e in cucina. Ovviamente, però, la durata dell’incarico da sola non basta: servono anche un ambiente sereno, buone condizioni di alloggio e, seppur dovrebbe essere scontato, la regolarità delle paghe. Tanto più quando si ha a che fare con personale di provenienza non locale.
D. Ce ne sono molti?
R. Sempre di più: oggi non arrivano solo dall’estero, ma anche da altre regioni d’Italia, soprattutto dalla Puglia e dalla Campania.
D. Tutto ciò non rischia in qualche modo di annacquare l’identità della destinazione?
R. È sicuramente un’altra delle questioni aperte. Però le soluzioni ci sono anche qui: per il cliente internazionale, in particolare, basta che il personale sia italiano; fa niente se non è romagnolo. Per la domanda domestica, la cosa si complica un po’. Ma se almeno il gestore è del posto, e magari se anche due o tre membri dello staff sono di origine locale, allora gli ospiti possono già respirare quell’atmosfera tanto tipica delle nostre coste.
D. Rimanere al passo con le esigenze del mercato significa anche rinnovare gli alberghi; in altre parole ristrutturare: quale la regola per interventi di restyling sostenibili?
R. In realtà non ne esiste una precisa. Molti ristrutturano semplicemente perché sono innamorati della proprietà, consapevoli che rientreranno dell’investimento, se va bene, in 15 anni. Dicono, allora, di farlo per i figli. Anche perché, dopo il restyling, non è affatto detto che si possa aumentare le tariffe. Anzi… D’altro canto non intervenire per un paio di anni significa far invecchiare l’hotel, agli occhi dei clienti, di almeno un lustro.
D. E allora?
R. Allora ci vuole programmazione e mestiere, evitando le improvvisazioni. Occorrono, in pratica, interventi chirurgici: una cosa alla volta. Per esempio noi al Diana (una delle tre strutture romagnole gestite dal gruppo Hgs insiema al St. Moritz e a Sweet Home, ndr) abbiamo rifatto le camere e la facciata, mentre agli impianti ci penseremo l’anno prossimo. Non tutti però hanno la forza e l’ampiezza di vedute per riuscirci. Tanto che, dal Lido di Savio a Cattolica, ossia lungo i 110 chilometri della costa riminese della Romagna, solo un 15%-20% dei quasi 3.400 alberghi presenti ha intrapreso percorsi di ristrutturazione.
D. Si va verso il declino, dunque?
R. No, solo verso un cambiamento di paradigma. La Romagna, nel complesso, regge e rimarrà sempre un modello turistico a cui ispirarsi. Certo, qualche destinazione, venuta dopo di noi, ha saputo forse reinterpretare meglio le nostre idee, imparando dai nostri errori, e ora ha una posizione competitiva invidiabile. Però se qualcosa si incrina da queste parti, sono solo le strutture che non investono, ritrovandosi così sempre più fuori dal mercato.

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